martedì 28 gennaio 2014

Nuota!



Una sera Bawu decise che era l'ora di farsi una bella nuotata.

Erano giorni che ci pensava, anzi ad essere onesti ci aveva pensato tutto l'inverno.
Mentre a casa sua, vicino alle montagne, le neve si accumulava lentamente sotto le finestre, lui aveva negli occhi una spiaggia dorata ed un mare cristallino con piccoli pesci colorati che si muovevano vivaci.
Adesso era arrivato il momento.
La spiaggia era dietro la collina e, se faceva attenzione, poteva addirittura riuscire a sentire il sospiro della risacca.
Non aveva dubbi e non stava più nella pelle: sarebbe andato subito se non avesse avuto le valigie da disfare, la spesa comprare ed altre cosucce da sistemare. Poi sua moglie voleva fare due passi in paese e sua madre diceva che aveva viaggiato tutto il giorno e non era il caso di partire ora.
Il giorno dopo, però, non ci sarebbe stato niente a fermarlo.
Successe invece una cosa strana.
Si presentò un imprevisto, qualcosa di urgente e di sicuramente importante.
Poteva benissimo rimandare la sua nuotata, ce n'era di tempo!
Ma il tempo sembrava improvvisamente ristretto.
Ogni giorno sorgeva qualcosa di nuovo e di imprevisto che gli faceva rimandare i suoi progetti.
Il mare riusciva a vederlo solo da lontano mentre faceva altro.

Dopo due settimane, infine, prese una decisione: si alzo prima di tutti e se ne andò sulla spiaggia.
Il mare era mosso e qualche nuvola velava il cuielo che era stato azzurro per tutti i giorni precedenti.
Si sedette a guardare le onde infrangersi sulla sabbia.
Non c'era nessuno intorno a lui.
Piano piano il sole riscaldò la sabbia ma l'acqua rimase fredda e la forza delle onde non diminuiva.
Non era proprio la condizione ideale.
Forse avrebbe dovuto rinunciare.
Di colpo si alzò, si spogliò e camminò verso la battigia.
La schiuma gli solleticava le dita dei piedi ed era fredda.
Non si ricordava che il mare fosse così freddo
Forse avrebbe davvero dovuto rinunciare.
Fece un passo cercando di resistere ai brividi che gli percorrevano la pelle e gli facevano rizzare i peli delle braccia e delle gambe.
Ne fece un altro, saggiando attentamente il fondo del mare con la punta delle dita dei piedi.
Ne fece ancora un altro e poi subito un altro mentre cercava di abituarsi alfreddo sfruttando il più possibile i sottili raggi di sole che gli arrivavano alle spalle.
Adesso aveva l'acqua all'ombelico ed era abbastanza lontano da riva.
Qui le onde erano ancora più alte ma sapeva che andando avanti avrebbe trovato acque più basse e meno agitate. Però gli venne in mente una cosa: era così sicuro di saper nuotare?
Il mare era una cosa diversa dalla vasca del suo bagno dove si divertiva ad immaginare lunghe nuotate  in mari tropicali. Questo mare era vivo e si comportava in modi a lui sconosciuti.
Si fermò.
Adesso era esattamente al limite: un passo più avanti e l'acqua sarebbe stata troppo alta per continuare a camminare.
Avrebbe dovuto tuffarsi.

Avrebbe dovuto nuotare.

venerdì 24 gennaio 2014



La coscienza e la consapevolezza.
Pare che anche la materia le possegga.
La materia inanimata, intendo, le particelle elementari.
L'energia stessa, quindi. Perché questa è alla base di tutto.
La materia sembra una particolare frequenza di energia.
E per come si comporta dimostra una qualche intelligenza, una consapevolezza di sé, una sua coscienza.
La vita nasce dalla giusta combinazione di materia, ma dové il punto di separazione?
Dove sta il vero limite tra vita e non vita?
Diciamo che  è vivo ciò che tende a riprodursi ma è proprio così o è una lettura antropocentrica.
Siamo sicuri che sia vero in senso assoluto.
E poi, comunque, siamo sicuri che la riproduzione sia solo quello che intendiamo noi.
Forse non abbiamo mai visto riprodurre la cosiddetta  materia inerte perché non sappiamo cosa cercare, perché abbiamo in mente un modello preciso, troppo simile a noi.
Su questo pianeta, la materia inerte ha prodotto la vita.
Se esiste una coscienza, di un qualche tipo nell'energia e nella materia, a maggior ragione ci può essere nella vita, a tutti i livelli.
Un minuscolo frammento di coscienza o meglio una minuscola partecipazione della coscienza della materia stessa.
La vita esiste forse da un paio di miliardi di anni.
Due miliardi di anni di vita in comune su un pezzo di roccia.
E' il minimo pensare che bastino ed avanzino per lo sviluppo di una coscienza comune.
L'uomo ci ha messo molto meno ad evolversi.
Ma la terra galleggia nel cosmo ed anche questo deve avere una sua coscienza esistendo da 15 miliardi (?) di anni ed essendo formato di materia ed energia, in qualche modo consapevole.
E noi?
Noi forse ci incasiniamo perché in un mondo con un'autocoscienza comune, siamo ancora legati da una consapevolezza individuale
Pensiamo ad un albero: sulla sua sommità ci sono migliaia di foglie tutte con la sua caratteristica.
Sembrano entità singole e invece no, sono attaccate a rami che si protendono al cielo e che a loro volta sono legati ad un albero che affonda nelle viscere della terra e si dirama a sua volte in radici che si spingono lontano. A volteminuscole come capelli raggiungono quelle degli altri alberi collegandosi a loro e interagendo con l'acqua e le sostance della terra, ognuna con una sua coscienza.
Diciamo che si nutrono ma non è la parola esatta.
Entrano in contatto.
Mettono in un circolo più grande.
Per noi dev'essere la stessa cosa.
Quando lo capiremo, quando lo capiremo TUTTI, sarà l'ultimo salto evolutivo.
L'ultimo balzo avanti.
Quello decisivo.

mercoledì 22 gennaio 2014

Se siedi come il Buddha



Un maestro una volta mi disse una cosa a proposito della meditazione:
" Se ti siedi come un Buddha,
dormi come un Buddha 
e mangi come un Buddha.
Ecco che sei un Buddha. "

La chiamava via della realizzazione istantanea.
Semplice, immediata ed economica, diceva.

Non mi ha mai spiegato come sedere e neppure cosa fare una volta seduto.
Tranne questo.

Non mi ha mai detto come fare a creare il vuoto mentale,
poni la tua consapevolezza nella pancia,
solo questo ripeteva.

Quando ti realizzi non c'é realizzazione.
Quando siedi non esiste sedersi,
Quando mediti non c'é meditazione.

Usava le parole come un pennello e l'aria come una tela.
Tratti appena accennati.
Poche parole per volte.

La realizzazione non usa parole,
le parole non servono più.

martedì 21 gennaio 2014

La ricerca.



Ora che hai trovato il posto giusto e ti sei seduto puoi cominciare a cercare.
Non dovrebbe essere così difficile, in realtà.
Però lo è.

L'essenza è ciò che sei.
Ciò che non puoi non essere..
Ciò senza la quale non sei.
Quindi la tua essenza è in te.
Sei te.
Cosa hai da cercare?

Il pesciolino che cerca l'oceano, ci nuota dentro senza saperlo.
Cerca e non si rende conto di non averne bisogno.

L'essenza è la sostanza.
La sostanza è ciò che sta sotto, che non è subito evidente.
L'essenza non è subito evidente e quindi la cerchi.
La sostanza è un prodotto del nostro stato di nevrosi.
Dal nostro conflitto interno.
Dalla nostra contraddizione.
Ci manca quello che abbiamo ma che non vediamo.
E quindi non possiamo trovarlo.

Non lo vediamo perché non lo riconosciamo.
Perché lo fraintediamo.
Perché aspettavamo qualcos'altro.

Ma è sempre stato lì.

Lo troverai quando smetterai di cercare.
Smetterai di cercare quando lo avrai trovato.



lunedì 20 gennaio 2014

Il viaggio ha inzio.




La spiritualità è ricerca, ricerca dell'essenza.
Ricerca vera, reale, attiva, concreta.
Tuttaltro che pura accademia, teorie campate in aria, discorsi pour parler.
La ricerca è qualcosa che ha a che fare con la vita.
La ricerca è vita.

L'essenza non è qualcosa in più, casomai qualcosa in meno.
L'essenza non è qualcosa da raggiungere ma qualcosa a cui tornare.
L'essenza è in noi.
Dentro di noi.

Ricercare è ricordare.

Prima di tutto bisogna fare chiarezza.
Calmare le acque.
Lasciare che tutto si posi.
Spogliarsi del superfluo.
Interrompere le attività accessorie.
Concentrarsi appunto sull'essenziale.

Questa è la meditazione.
Per partire senza andare da nessuna parte è necessario fermarsi.

FERMATI.
SIEDITI.
DIMENTICA QUELLO CHE HAI IMPARATO.

Prova a fare nulla.
In quel nulla c'é sempre stato tutto.
Afferra quel nulla, tienilo stretto a te.
Raccogliti intorno a quel nulla.

Respira e conta i respiri senza diventare respiro.
Fai battere il cuore e conta i battiti senza diventare pulsazione.
Lascia scorrere il sangue e guardalo scorrere senza diventare sangue.

Lascia entrare i pensieri e conta i pensieri senza diventare pensiero.

Non sei respiro.
Non sei battito e nemmeno sangue.
Assolutamente non sei pensiero.

Ma sei respiro, battito, sangue e pensiero.

Non devi sparire, non ti devi annullare perché non sei 'nulla'.
Espanditi, invece.
Che sei Tutto.

mercoledì 15 gennaio 2014

सम्यग्



il dolore, quello interiore, la sofferenza psicologica e spirituale, nasce dalla mancata conoscenza.
Nasce dall'ignoranza.
L'ignoranza è la mancata conoscenza della verità.
O il suo fraintendimento.
 La verità a cui si fa riferimento è la reale natura delle cose.
La reale natura delle cose è che sono impermanenti.
Le cose appaiono e scompaiono.
Ogni illusione che la realtà sia in qualche modo un'altra può portare solo alla sofferenza.
Appaiono non significa che vengono create dal nulla.
Scompaiono non vuol dire che spariscono nel nulla.

Tutto questo crea emozioni, ma il sentiero che porta al risveglio non vuol negare le emozioni.
Il risveglio presuppone la conoscenza della realtà, non il sovrapporsi a questa di un'altra pia illusione.
Il risveglio sono le cose in sé, per quello che sono.
Il risveglio è la realtà e la realtà è che tutto si traforma.

La conoscenza della natura delle cose porta alla non identificazione.
Non c'é distacco e neppure negazione.
C'é solo la non identificazione.
Se tu  sei  il tuo lavoro,  muori quando perdi il lavoro.
Se tu  sei la tua reputazione,  muori  quando perdi la reputazione.
Lo stesso se  diventi  gioia, amore o dolore o altro.

La conoscenza ti svela l'essenza delle cose, senza diventare le cose.
Gioisci delle cose, conoscendo la loro relatività.
Ti rattristi delle cose, conoscendo la loro impermanenza.
Non sei più le cose.
Conosci le cose.

Per trovare la moneta caduta nello stagno devi aspettare che il fango si posi.
Quando l'acqua sarà tranquilla vedrai con chiarezza.
Per risvegliarti devi calmare le acque.
Per calmare le acque c'é un sentiero da seguire.

Tutti i maestri parlano di una via che porta al risveglio.
Tutti ci raccomandano la rettitudine.
Stare dritti, non deviare.
Stare nel giusto.
Essere probi.
Samyag ( सम्यग् ), proprio, appropriato, giusto modo di fare le cose, corretto, vero...

La probità porta quindi al risveglio.
L'appropriatezza nella quantità e nella qualità.
Nel comportamento.
Nella ricerca.
Nella saggezza.

Quietarsi.
Fare chiarezza.
Guardare nel posto giusto.
E nel giusto modo.



martedì 14 gennaio 2014

बोधि





Il termine sanscrito Bodhi ( बोधि ) significa  risveglio in quanto presa di coscienza.
Deriva dalla radice verbale bodh, da cui i verbi , bodate e bodati, che significa accorgersi, apprendere, capire e così via.
L'uso di tradurre questo termine con 'illuminazione' è iniziato nel corso del XIX in ambienti legati alla Teosofia.
Successivamente tale termine è rimasto, nonostante alcuni lo ritengano inesatto se non addirittura fuorviante.

La parola giapponese (satori) è assai più vicina al senso originale di quelle italiane o inglesi (enlightment) rimandando al concetto originale di rendersi conto.
Bodhi, satori o il risveglio sono la presa di coscienza, il vedere le cose come sono, essendosi liberati dei preconcetti mentali che ce le presentano diverse.

Il concetto fondamentale è che l'origine della nostra sofferenza sta nella mancata conoscenza o nella volontaria negazione ( che possono coincidere ) della realtà, di come stanno le cose.
Il raggiungimento di questa verità e la sua accettazione possono compiere ciò che nel buddismo delle origini veniva chiamata mokṣa o liberazione.
Liberazione dal sottostare al ciclo infinito di morti e rinascite, secondo l'induismo ed il primo buddhismo.
Liberazione dalla sofferenza.
Ma ben presto inteso soprattutto come liberazione dall'errore.
Il risveglio, la presa di coscienza sono connessi ad una giusta, appropriata, retta visione della realtà.
Una conoscenza che non è raggiungibile a livello intellettuale bensì puramente intuitivo.
In questo modo, i metodi per raggiungere tale conoscenza perfetta, sono appunto sentieri: chi ci si incammina lo fa principalmente da solo.
Nessuna garanzia viene data sul cosa, né sul quando.
Viene offerta solo una direzione, un itinerario ma la strada da fare cambia da persona a persona.
Questo spiega il fiorire, pressoché infinito di maestri, scuole e tradizioni diverse.
L'unica cosa che le accumuna è solo la partenza, la direzione e  quindi il punto di arrivo; diversi sono il passo, l'andatura, i mezzi di trasporto, la velocità, i tempi e le soste. 
Unico è il fatto di arrivare a vedere semplicemente ciò che è.
Non si tratta di un sapere nascosto, né di una verità superiore.
Il Buddha è l'uomo tale quale è e la realtà tale quale è.
Niente di più.
Assolutamente niente di meno.

lunedì 13 gennaio 2014

Illuminazione








Un giorno Bawu decise di lasciare sua moglie, sua figlia appena nata, sua madre e la casa di suo padre per salire sulla montagna e imparare da un vecchio eremita che viveva in una grotta.
Una mattina, di buon'ora, salutò la moglie in lacrime e la bambina che ancora dormiva, carezzo le guance rugose della madre, si inchinò ancora una volta di fronte alla tomba di suo padre e partì per la montagna.
Dopo qualche mese passato a cercarlo, finalmente trovò il vecchio eremita che sorvegliava un piccolo fuoco di fronta ad una grotta; lo pregò di insegnargli ed il vecchio, dopo un po' di tempo, si lasciò convincere dalla sua insistenza e lo accettò come allievo.
Le stagioni si susseguirono e Bawu, con grandi sforzi, imparò a meditare ed a digiunare.
Dopo cinque anni, il maestro gli disse che era il momento che scendesse a vale per completare la sua strada ma Bawu rispose che se aveva ancora qualcosa da completare non poteva che farlo lì accanto al suo maestro.
Bawu perfezionò il suo ascetismo, divenne consapevole di sé stesso e del mondo intero, risuciva a rimanere  senza mangiare per quasi due mesi ed il suo stesso maestro riteneva la sua saggezza superiore alla sua.
Dopo altri tre anni il maestro gli disse che era il momento che scendesse a vale per completare la sua strada ma Bawu rispose che se aveva ancora qualcosa da completare non poteva che farlo lì accanto al suo maestro.
Bawu, insisté nella pratica finche raggiunse infine l'illuminazione, la sua fama si santo si diffuse oltre le montagne e raggiunse la grande città: lo stesso imperatore mandò da lui  un gruppo di monaci perché li istruisse. Questi costruirono per lui un monastero ed i suoi insegnamenti vennero scritti.
A questo punto il maestro gli disse di nuovo  che era il momento che scendesse a vale per completare la sua strada ma Bawu rispose che se aveva ancora qualcosa da completare non poteva che farlo lì accanto al suo maestro.
Bawu non capì e sul momento pensò che il suo maestro fosse ormai diventato vecchio. Qualche mese dopo, però, decise di seguire quello che forse sarebbe stato il suo ultimo insegnamento.
Partì al mattino di buon'ora, saluto i monaci e nominò uno di loro abate, raccomandandosi che seguisse gli insegnamenti del vecchio eremita.
Quando arrivò al suo vecchio villaggio scoprì che pochi mesi dopo la sua partenza era passato un gruppo di soldati sbandati. Sua figlia era stata fatta a pezzi, sua moglie era stata violentata fino a farla morire, sua madre era stata seppellita viva nella tomba profanata di suo padre ed alla fine il capo aveva deciso di bruciare la sua vecchia casa.
Il dolore fu talmente forte che perse la ragione, radunò un gruppo di giovani, si recò da quei soldati che si erano stabiliti nel villaggio vicino e attaccandoli di sorpresa durante la notte, li uccise tutti, compresi gli abitanti del villaggio, non risparmiando né donne né bambini e neppure gli animali.
Dopo la carneficina bruciò tutto e, mentre i suoi compagni se ne tornavano a casa con il bottino, lui rimase da solo a piangere finché il fuoco si spense ed anche le ceneri finirono di fumare.
Pentito e deluso di se stesso, Bawu, tornò dal suo maestro.
Nei due mesi che era stato lontano, i monaci si erano allontanati dagli insegnamenti  del vecchio eremita, si erano ribellati all'abate e avevano iniziato a bistricciare su chi fosse il vero suo erede; presto la lite era degenerata ed avevano messo mano alle armi fino a uccidersi tra di loro.
Il vecchio eremita, aveva provato a riportarli alla ragione ma il vincitore della carneficina, lo aveva picchiato e rinchiuso in una cantina perché morisse di fame.
Bawu lo trovò seduto sul pavimento, concentrato nella meditazione.
Era allo stremo, eppure sereno.
Avresti dovuto ascoltarmi, gli disse, la vera illuminazione va provata con la vita. Senza il confronto non puoi completare la tua strada.

venerdì 10 gennaio 2014

Risveglio.




Molti la chiamano illuminazione.
Io preferisco usare una parola più simile all'originale: la chiamo risveglio.

Illuminazione non mi piace troppo per una questione grammaticale.
Può essere intesa in due diversi modi, a seconda di come si preferisce e questo crea confusione.
Puoi vederla in forma attiva: io mi illumino.
Ma anche in forza passiva: io sono illuminato.

Nel primo caso sono io che mi illumino, lo faccio da solo, è opera mia, ma il fatto che mi illumini, presuppone il fatto che prima di ora sia stato costantemente nelle tenebre.
Sempre.
Nel secondo caso qualcuno mi illumina, al contrario di prima non è opera mia, non lo faccio da solo. Qualcuno dal di fuori mi da luce. La mia condizione non è merito mio, ma dipende da qualcun'altro. Non è farina del mio sacco, proviene da fuori,

Il risveglio presuppone che stavi dormendo, si, ma c'é stato un tempo in cui non la fecvi e tutto era chiaro, quanto poi è stato scuro.
Il risveglio presuppone che lo hai fatto tu.
Ti sei risvegliato.
Anzi, presuppone che se non lo fai con le tue forze, a nulla possono valere gli sforzi di altri risvegliati.
La parola, buddha, è il participio passato di un verbo che ha un significato di tipo riflessivo:
Io sveglio me stesso
Io mi sveglio
oppure
Io prendo coscienza, la prendo, Io, non me la fanno prendere.
Quindi è opera mia ma il mio sonno non era una condizione naturale.
La condizione naturale è essere svegli.
E' dormire che è innaturale.
La condizione naturale degli esseri umani è avere coscienza, essere svegli.
Lo eravamo prima di addormentarci, lo siamo di nuovo una volta risvegliati.
Il nostro sonno equivale alla perdita di coscienza.
Equivale al fraintendimento.
Equivale ad una conoscenza falsa.
Equivale a prendere per vero ciò che lo è solo per convenzione.

Quindi svegliarsi è andare controcorrente.
Rompere.
Tagliare.

Ma allo stesso tempo
Tornare.
Svegliarsi.
Essere.

mercoledì 8 gennaio 2014

La Tradizione.




Quindi il primo ponte da tagliare è la tradizione.
Suona duro, vero?
Molti di noi pensano che la tradizione sia tutto.
Che tradire la tradizione sia tradire se stessi, le proprie origini, la propria storia.
La storia diventa tradizione quando iniziamo a venerare ciò che è sempre stato fatto senza fare distinzioni. Non tutto quello che é stato fatto era buono. Anzi spesso era cattivo. A volte era pessimo.
Non era sempre malafede: solo che non conoscevamo niente di meglio.
Perché rimanere fermi, per rispetto di una tradizione?
Per tradizione sono state fatte le cose peggiori che ti possono venire in mente.
La tradizione è la trasmissione di ciò che é stato fatto  perché si perpetui.
Ciò è buono ma tale trasmissione a volte avviene a occhi chiusi.
Smettiamo di ragionare solo perché si tratta di tradizione, solo perché si é sempre fatto così.
E' questo  che va tagliato: la venerazione della tradizione in quanto tale.
E' un altro modo per dire che dobbiamo smettere di ragionare con la testa di un altro.
E' necessario liberarci anche da questo e per farlo dobbiamo smettere di essere ipocriti:
Cosa facciamo solo per tradizione?
Quante volte utilizziamo questa parola solo per comodo?
Quanto era davvero giusto quel modo di fare?
Si tratta di fare attenzione e non di tagliare giusto per fare.
A volte tagliare é l'unica cosa da fare e allora devi farlo, senza esitare.

Taglia quel braccio!
Brucia quella coperta di Linus!
Guarda in faccia chi sei!
Non avere paura.

martedì 7 gennaio 2014

Ora sei grande.








Come ho detto altre volte, per farlo con le parole di altri, sono convinto che i tempi siano maturi.
Al di là di ogni prospettiva escatologica, credo che sia arrivato il momento di attuare un grande cambiamento.
I nostri problemi, prima di essere politici, economici o sociali, sono principalmente fiolsofici, etici, spirituali.
Senza un radicale cambiamento a questi livelli NON é assolutramente possibile mutare nient'altro. Qualsisasi altra strada non produrrebbe niente di buono o comunque niente di stabile.
Il mutamento deve essere radicale e profondo.
Per questo dico che deve essere spirituale, deve riguardare l'essenza delle cose e di noi stessi; deve concernere il modo in cui la concepiamo, questa essenza; di come ci rapportiamo con lei; di come la mettiamo in pratica, quella nuova visione.
Alla base comunque c'è quella visione.
Ancora prima della pratica, anche se questa viene subito dopo e senza di lei, la prima non ha nessun senso.
E' necessario rielaborare il nostrio intero passato: l'umanità é divenuta maggiorenne e come tale deve decidere dove andare e cosa fare.
Le favole dell'infanzia erano bellissime  e se ne può tranquillamente essere nostalgici, ma erano solo quello: favole.
In questa presa di coscienza, e nella successiva presa di responsabilità, sta il nostro futuro.
Quando eri bambino, parlavi da bambino e ti comportavi da bamnbino, ora che stai diventando adulto é necessario che tu ti comporti come tale. E' naturale e fisiologico.
Un bambino ha bisogno di racconti semplificati, di favole e di parabole, l'adulto no.
Ad un bambino di indora la pillola, l'uomo ha le spalle abbastanza larghe per sopportare.
Il bambino va seguito, l'uomo deve camminare da solo.
Ecco, l'umanità sta divenendo adulta.
Forse non ancora del tutto, forse non ovunque ma i primi segni del cambiamento si vedono. Occorre prenderne coscienza e continuare la strada, senza avere paura.
Senza voler rimanere bambini per sempre.
Iniziamo a riporre le bambole ed i giochi con i quali siamo vissuti finora: le favole, i miti, le religioni, gli inferni, i paradisi, i dogmi, i tabù come anche le intolleranze le paure le discriminazioni e le violenze di cui abbiamo abusato nella nostra infanzia.
Erano coperte di Linus e bizze di bambini.
Adesso stiamo crescendo e la paura di farlo é il primo spettro che dobbiamo far svanire.

Capire che il momento arrivato è il punto di partenza.
Perché l'adolesenza é fondamentale per lo sviluppo di un individuo così come per l'umanità intera edun'adolescenza ritardata o contratta o fraintesa o negata può solo rovinare l'uomo che saremo, l'umanità che costruiremo.

Queste sono le chiavi di casa, non fare tardi.

sabato 4 gennaio 2014

Non è vero che le religioni sono tutte uguali!



Non è vero che tutte le religioni sono uguali.

E' vero che tutte rispondono allo stesso bisogno di fondo.
Che tutte partono dallo stesso punto.
Che tutte insistono sullo stesso solco.
Che tutte tendono a negare queste coincidenze.

Tutte le religioni partono dalla ricerca della verità.
Tutte le religioni arrivano alla conclusione della loro esclusività.
Tutte le religioni dicono di averla raggiunta, quella verità.

Qui nascono le differenze:
intanto sulla fede.
Alcune religioni si identificano come 'fedi', e pretendono un atto di 'fede' che non consiste tanto nel credere, nel senso di essere convinti, quanto in quello di sperare.
Se non speri, non sei fedele e quindi, fondamentalmente compi un atto offensivo verso quel dio che ti chiede di credere, cioé di avere fiducia, di sperare, in lui. Per questo motivo, non ti salverai.
Altre religioni si appellano alla conoscenza: le cose stanno così, punto. Il non riconoscerle comporta solo  il tuo permanere nell'ignoranza e quindi nella tua condizione attuale, che se è infelice, tale rimarrà.

La seconda differenza nasce intorno all'identificazionre della verità o meno con una divinità e, successivamente con una divinità personale.
Per giustificare questa personificazione dell'essenza, alcune religioni, pongono anche la sua letterale incarnazione nella storia, della quale si affannano poi  a provare più o meno scientificamente la verità oggettiva.
Se mi è chiara la necessità storica di questa personificazione della divinità e, anche, di questa divinificazione dell'essenza, non riesco proprio a capire la sua necessità attuale.
A cosa serve oggi un Dio personale?
Un Dio-persona talmente antropomorfizzato da vivere quasi nella stessa dimensione temporale delle sue creature.
Oggi la maggior parte di noi ha capacità e conoscenze tali da poter concepire senza difficoltà una realtà spirituale, totalmente emancipata da qualsisasi paragone con l'umanità. Non ci servono parabole.
Se le religioni, coraggiosamente ma anche responsabilmente, ammettessero che le loro divinità hanno una consistenza puramente spirituale e quindi essenziale, ideale e non personale. Che la supposta coscienza divina si identifica e si polverizza nella coscienza del mondo e che la creazione stessa si identifica, alla fine, con il suo creatore. Se succedesse questo, le differenze si annullerebbero, anche perché solo un Dio-Persona pretende la fiducia-speranza-fedeltà da parte di una sua creatura.


venerdì 3 gennaio 2014

Ancora sulla meditazione.



Meditare non è difficile, è naturale.
Si tratta di imparare ad essere semplici.
Tornare a farlo.
Dimenticare tutto ciò che sappiamo ed assumere l'atteggiamento naturale.
Il nostro vero volto.
Dove vediamo chi siamo.

Non c'é dissoluzione.
Non c'é dispersione.
Non c'é annullamento.
Non c'é niente se non ce lo mettiamo.
E sarebbe meglio che non lo facessimo.

Dobbiamo entrare in questo posto come per tornare nel grembo materno.
Come un bambino nella culla.
Come un gatto rapito da un raggio di sole.
Come un geco su una pietra o la pietra stessa.

Essere senza fare.
Essere senza voler essere.
Essere e basta.

Ti chiederai se faui bene o se fai male.
Se dovresti sentire qualcosa.
Per ché non succede niente.

Tutto questo te lo sei costruito e non ti appartiene.
Stai solo seduto.
Stai comodo.
Respira, lascia che il tuo cuore batta ed il tuo sangue fluisca.
TU SEI TUTTO QUI.
Non c'é altro in realtà, se non lo vuoi.

Devi capire questo.
Dipende da te.
Non viene da fuori.

Non te ne sei accorto ma stai meditando profondamente.
Ed è stato molto più che facile.

giovedì 2 gennaio 2014

Il primo articolo dell'anno



Come iniziare se non con l'oggetto della nostra ricerca.
L'essenza, la natura ultima, il significato, il significato del significato, la realtà sottostante, Dio o come preferite chiamarla.
In Cina, qualche migliaio di anni fa, la chiamavano Tao.
I Greci la personificavano nel fato.
Oggi molti preferiscono darle un nome più o meno scientifico.
Al di là dei nomi, di quello si tratta.
Venendo al mondo era evidente, non c'era bisogno di  parole.
Nessun dogma o concetto astruso.
La reaòltà era evidente.
Per questo Gesù, o chi in suo nome, ha predicato di tornare come bambini.
Ecco il problema.
L'unica ricerca che ci può far trovare è una non-ricerca.
Per questo proviamo a meditare.
Mi fa ridere quando mi chiedono cosa faccio quando medito:
non faccio niente, medito.
Se facessi qualcosa mentre medito, non potrei meditare, non credi? 
Anche qui è un fatto di parole: è facile andare fuori strada.
Meditare, riflettere, contemplare, concentrarsi, come tradurre con una parola quelo che si fa stando seduti?
Dhyāna, il termine sanscrito, é più vicino a visione, e quindi a contemplazione.
A me piace tradurlo come esistere.
Nella meditazione cessi ogni attività accessoria e semplicemente esisti.
Respiri, fai battere il cuore e circolare il sangue, certo, ma niente'altro.
Sei, semplicemente sei e così realizzi la natura prima di te stesso.
Che coincide con quella di tutti e del Tutto.