venerdì 29 marzo 2013

La sapienza trascendente



Prajnaparamita


PRAJNAPARAMITA
La Prajnaparamita è la divinitä femminile che rappresenta il corpo della verità e la madre di tutti i Buddha.
Personifica tra l'altro la saggezza trascendentale, la conoscenza e la vacuitä.

Il Mahaprajnaparamita-Hridaya- Sutra del cuore, è l'espressione della saggezza e la base
del Buddhismo Mahayana, il grande veicolo: eccone l'introduzione

IL SUTRA DEL CUORE DELLA CONOSCENZA TRASCENDENTALE

"Al di là d'ogni parola o pensiero, indescrivibile ed inconcepibile, Prajnaparamita, inesprimibile a parole o pensiero, la conoscenza trascendentale, l'essenza dello spazio, dalla natura simile al cielo, non può essere sperimentata che attraverso la chiara conoscenza discriminante"...
cfr. http://www.giosilvani.ch/html_it/32_prjnaparam.html

Prajñāpāramitāsūtra (sanscrito; devanagari: प्रज्ञा पारमिता, cinese: 般若波羅蜜多經 pinyin Bōrě bōluómì duō jīng, giapponese Hannya haramitta kyō, tibetano  Shes-rabkyi pha-rol-tu phyin-pa' i mdo, coreano: banya-paramilda, vietnamita: Bát Nhã Ba La Mật Đa) ovvero Sutra della perfezione della saggezza o Sutra della conoscenza trascendente è il nome dato ad un insieme di trentotto sutra buddhisti, i più antichi dei quali risalgono al I secolo a.C. mentre i più tardi arrivano al VII secolo d.C., che sono, unitamente al Sutra del Loto, al fondamento del Buddhismo Mahāyāna.

Il nome dei Prajñāpāramitā Sūtra deriva dall'insieme di alcuni termini sanscriti:
  • prajñā = sapienza;
  • pāram = al di là;
  • itā = lei che è andata.
Quindi si potrebbe tradurre come sutra della 'sapienza trascendente' (intendendo quest'ultimo termine nel significato di "non mondano"). Non si conosce il nome dei loro autori; secondo la tradizione buddhista Mahāyāna si tratta di insegnamenti dispensati dal Buddha Shakyamuni stesso ad alcuni discepoli scelti (Ānanda e Subhuti) sul "Picco dell'Avvoltoio" (sans. Gṛdhrakūṭa) a Rājagaha (oggi Rajgir, in India). In alcuni casi, come per il Sutra del Cuore, gli insegnamenti sono sempre emanati dal BuddhaShakyamuni ma effettivamente esposti dal bodhisattva Avalokiteśvara. La totalità degli studiosi annovera tuttavia queste tradizioni come 'leggendarie'. I Prajñāpāramitā Sūtra compaiono progressivamente dal I secolo a.C. nell'India meridionale per spostarsi verso quella occidentale e infine verso Nord. Nāgārjuna nel II secolo d.C. avviò lo studio sistematico della letteratura dei Prajñāpāramitā Sūtra, anche se nelle sue opere non vengono citati, fondando così, di fatto, la prima grande scuola di tradizione Mahāyāna, la Mādhyamika.
La dottrina di questi sutra parte dalle sei perfezioni (pāramitā) descritte nelle biografie del Buddha Shakyamuni. Esse vengono interpretate e riassunte nell'ultima e più importante di esse: la saggezza (prajñā). Così la realizzazione della perfezione della saggezza (Prajñāpāramitā) che corrisponde alla vacuità (śūnyatā) ovvero alla insostanzialità (abhāva) dei fenomeni in quanto impermanenti (anitya) e interdipendenti (pratītyasamutpāda) è considerata in grado di fa realizzare la buddhità (buddhatā) e l'illuminazione (bodhi).
Nei trentotto testi che costituiscono l'insieme dei Prajñāpāramitā Sūtra la dottrina della vacuità riveste un ruolo fondamentale. Si può sostenere che fin dai Prajñāpāramitā Sūtra più antichi, l'estensore degli stessi, che potrebbe voler riportare degli insegnamenti dello stesso Buddha Shakyamuni non accolti negli Āgama-Nikāya, accompagni la dottrina della vacuità con la pāramitā prajñā ritenuta l'ultima e la più importante già nelle scuole del Buddhismo dei Nikāya (scuola Sarvāstivāda). Nel complesso la letteratura dei Prajñāpāramitā Sūtra elenca venti tipi di vacuità (sanscrito viṃśati śunyātā):
  1. Vacuità degli organi di senso (adhyatana śūnyatā).
  2. Vacuità dei fenomeni percepiti (bahirdhā śūnyatā).
  3. Vacuità degli organi di senso e dei fenomeni percepiti (adhyatanabahirdhā śūnyatā).
  4. Vacuità della vacuità (śūnyatā śūnyatā).
  5. Vacuità dello spazio (mahā śūnyatā).
  6. Vacuità dell'assoluto (paramārtha śūnyatā).
  7. Vacuità dei fenomeni condizionati (saṃskṛta śūnyatā ).
  8. Vacuità dei fenomeni non condizionati (asaṃskṛta śūnyatā ).
  9. Vacuità di ciò che è al di là dell'eterno e del nulla (atyanta śūnyatā ).
  10. Vacuità di ciò né inizia né termina, del Samsara (anavaraga śūnyatā).
  11. Vacuità di ciò che degli insegnamenti che vanno accolti (anavakara śūnyatā ).
  12. Vacuità dell'intima natura dei fenomeni (prakṛti śūnyatā).
  13. Vacuità di qualsiasi fenomeno o dharma (sarvadharma śūnyatā ).
  14. Vacuità delle carattetistiche di ogni singolo dharma (svalakṣaṇa śūnyatā).
  15. Vacuità dell'inconcepibile (anupalambha śūnyatā).
  16. Vacuità dei fenomeni privi di identità (abhāvasvabhāva śūnyatā ).
  17. Vacuità dei fenomeni che posseggono delle sostanzialità (bhāva śūnyatā).
  18. Vacuità di ciò che è privo di sostanzialità (abhāva śūnyatā).
  19. Vacuità dell'identità (svabhāva śūnyatā).
  20. Vacuità della natura trascendente (parabhāva śūnyatā).
Tali "vacuità" stanno ad indicare che ogni forma, esistenza o non esistenza, è vacuità e ogni vacuità è ognuna di queste. Così come recita uno dei Prajñāpāramitā Sūtra più noti, il Prajñāpāramitā Hṛdaya Sūtra (Il Sutra del Cuore della perfezione di saggezza): «Qui, O Sariputra, la forma è vacuità e la vacuità è forma; la vacuità non differisce dalla forma, la forma non differisce dalla vacuità; qualsivoglia cosa sia forma, quella è vacuità; qualsivoglia cosa sia vacuità, quella è forma». L'insieme del corpus scritturale dei Prajñāpāramitā Sūtra sembrerebbe contenere una serrata critica alla dottrina dei dharma intesti come costituenti ultimi della realtà, propria delle scuole del Buddhismo dei Nikāya, segnatamente della scuola Sarvāstivāda. Tali dottrine assegnavano esistenza reale ai costituenti (dharma) dei fenomeni, anche se le stesse denunciavano la "vacuità" del soggetto che questi fenomeni percepiva, ovvero negavano la soggettività, l'io individuale (dottrina dell'anātman ) dello stesso soggetto. Questa "doppia vacuità" (vacuità del soggetto percipiente e dei fenomeni percepiti) pronunciata dai Prajñāpāramitā Sūtra andava a dunque a criticare i contenuti abhidharmici della scuola Sarvāstivāda, la quale giungeva a sostenere la presenza, nel soggetto che percepisce, di un dharma particolare, il prapti, che fungeva da ricettacolo per la sua retribuzione karmica. È chiaro che la dottrina della vacuità dei Prajñāpāramitā Sūtra ha dei precisi fondamenti, come abbiamo visto, negli stessi Āgama-Nikāya, tuttavia essa intende radicalizzare questi fondamenti e indicarli come il cuore (hṛd) della dottrina del Buddha Shakyamuni (Buddhadharma). In un altro famoso Prajñāpāramitā Sūtra, il Vajracchedikā-prajñāpāramitā-sūtra (Sutra della perfezione della saggezza che recide come un diamante, o più brevemente Sutra del diamante) si giunge, peraltro coerentemente con questi insegnamenti, a sostenere che «per quanto innumerevoli siano gli esseri in tal modo guidati verso il Nirvana proprio nessun essere è stato guidato verso il Nirvana. Perché? Se in un bodhisattva dovesse intervenire la nozione di un essere, egli non potrebbe venire chiamato bodhisattva. E perché? Non si dovrà chiamare bodhisattva colui nel quale interviene la nozione di un essere, o la nozione di un'anima vivente o di una persona».


cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Praj%C3%B1%C4%81p%C4%81ramit%C4%81_S%C5%ABtra



La dottrina Madhyamaka espressa nell'opera di Nāgārjuna si fonda sulla vacuità (sanscrito शून्यता śunyātā, cin.: 空 kōng, giapp. , tib. stong-pan-yid) e corrisponde ad una critica serrata delle dottrine ad impronta realistica dibattute all'epoca in India, soprattutto presso le scuole filosofiche Sāṃkhya e presso la scuola buddhista Sarvāstivāda, le quali, anche se in modo differente, ritenevano che ad alcuni concetti da loro espressi corrispondevano delle realtà sostanziali.
La critica di Nāgārjuna si rivolse soprattutto alla dottrina che sosteneva i fenomeni come dotati di natura propria o "essenza" (svabhāva), tale critica equivaleva a sostenere che nulla aveva una propria realtà intrinseca e indipendente se non nelle cause e condizioni (pratītyasamutpāda, cin. 十二因緣 shíèryīnyuán, jūni innen, tib. rten 'brel yan lag bcu gnyis) dalle quali il fenomeno scaturisce.
Questa critica fondata sulla vacuità è, secondo Nāgārjuna, un recupero dell'autentico insegnamento del Buddha Śākyamuni, ma Nāgārjuna introduce in questa critica anche la dottrina dell'interdipendenza dei fenomeni ogni cosa dipende nella sua natura da tutte le altre, ogni fenomeno preso di per sé è vuoto di una sua "sostanzialità" inerente (non esiste di per sé ma solo in relazione agli altri). I fenomeni hanno di fatto natura istantanea, il che significa che quando un fenomeno è venuto in essere ciò che lo causa è già necessariamente finito; l'importante implicazione filosofica che scaturisce da questa teoria è che non è possibile stabilire una comprovata continuità dei fenomeni, e perciò, che essi mancano di natura intrinseca . Così ogni fenomeno, fisico o mentale che sia, può manifestarsi proprio perché privo di una sua natura inerente.

Questa vacuità generalizzata si manifesta nella non dualità per la quale anche:
« Il saṃsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal saṃsara. I confini del nirvāna sono i confini del saṃsara. »
(Nāgārjuna)

https://it.wikipedia.org/wiki/M%C4%81dhyamika



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