Il giovane principe, che mai aveva visto soffrire e men
che meno mai aveva visto invecchiare o morire,
rimase sinceramente e profondamente stupito quando
questa esperienza gli venne incontro per la prima
volta, con una violenza tale da scuoterlo sin dalle
radici. Non solo, rimase anche indignato e con il suo
regale senso pratico decise di trovare una soluzione.
Meraviglia della mentalità orientale: non ricerco la
perfezione o il contatto con il divino, cerco una
soluzione efficace ai miei problemi quotidiani.
Siddharta ci si applicò con fermezza e decisione
oltreché con ordine e metodo. Per prima cosa si
rivolse ai santoni dei suoi tempi: seguì uno dopo
l'altro
ogni guru, ogni maestro ed ogni seguace di ogni
singolo dio che riuscì a trovare in
ogni angolo più
remoto dell'India. Alla fine, dopo aver concluso che
nessuno aveva ancora mai trovato la soluzione che
cercava, decise che avrebbe potuto contare
unicamente sulle sue forze e, dopo una nottataccia a
Bodhgaja, l'universo o chi per lui ricompensò i suoi
sforzi concedendogli la visione delle già citate verità e
soprattutto la consapevolezza finale che tutto è uno,
che la differenziazione dei miliardi di cose esiste
soltanto nella nostra mente.
La sofferenza governa la vita dell'uomo.
Questa sofferenza nasce essenzialmente dal
desiderio
, anzi dai desideri, dalla nostra volontà che
le cose vadano in un certo modo piuttosto che in un
altro.
Smettendo di correre dietro ai nostri desideri
, e
quindi rinunciando all'attaccamento ai nostri progetti
ed all'identificazione con le nostre idee su come
dovremmo essere noi e la nostra vita e quelle degli
altri,
cesseremo di soffrire e di far soffrire chi ci sta
intorno.
Spegnere il desiderio, e quindi l'attaccamento, è
piuttosto difficile tantoché il Buddha dovette
escogitare quello che chiamò
l'ottuplice sentiero per
riuscire a raggiungere quell'obiettivo. Questo ettalogo
è una sorta di elenco di rettitudini, non comandamenti,
che può guidarci a guadagnare l'illuminazione, la
beatitudine sulla terra e la pace eterna nell'altro mondo
senza lo spettro di nuove innumerevoli vite piene di
sofferenza.
Retta comprensione, retto pensiero, retta parola, retta
azione, retta condotta di vita, retto sforzo, retta
consapevolezza, retta concentrazione.
Secondo i seguaci, da seguire tutte
contemporaneamente.
Per quanto mi riguarda ho sempre pensato che
una retta concentrazione
perseguita con
un retto sforzo
porta ad
una retta consapevolezza
e quindi a
una retta comprensione.
Chi giunge a questo avrà
retto pensiero
, parola, azione e condotta di vita.
Può essere anche un cammino da seguire in serie
piuttosto che in parallelo. Oppure anche il contrario:
retto pensiero
, parola, azione e condotta di vita
mantenuti grazie ad un
un retto sforzo
portano ad una
retta concentrazione
che ci permette di conseguire una
retta consapevolezza
e di conseguenza la
retta comprensione.
Resta comunque evidente il ruolo fondamentale che
gioca in tutto questo la comprensione.
E come questa possa essere guadagnata
esclusivamente grazie ad un duro e profondo e
continuo lavoro su sé stessi. Senza aiuti esterni.
Calma le acque e vedrai il fondo.
Discerni le apparenze e potrai fare a meno di
guardare.
Dopo queste riflessioni credo che una conclusione sia
evidente:
chi arriva alla conoscenza finale comprende che in
realtà la sofferenza non è un dato oggettivo, la sua
stessa esistenza è relativa al grado di conoscenza
dell'osservatore, una specie di metafisica quantistica:
il isultato dell'osservazione dipende dall'osservatore, o
meglio, dall'osservazione stessa.
Possiamo quindi addirittura osarci a pensare di fare
una
leggera modifica alle quattro nobili verità, che
rimangono pur valide per introdurre il discorso, ma
che, alla luce delle conclusioni alle quali adesso ci
troviamo ad approdare, non sono del tutto efficaci.
Per questo motivo potrei riformularle così:
gli uomini soffrono
la sofferenza nasce dal desiderio
il desiderio nasce dall'ignoranza
la conoscenza sconfigge la sofferenza
quindi
gli uomini soffrono se ignorano che la sofferenza
dipende essenzialmente da loroCfr. G. Vannucchi, Buone Notizie, pp. 101-107.
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