lunedì 18 febbraio 2013

Meditare camminando

La seduta classica di kin-hin è preannunciata dal suono dell’in-kin, una piccola campana di bronzo fissata a un manico di legno.  
 
A questo segnale i monaci Zen danno inizio a un’altra forma meditativa, conosciuta come kin-hin. Si tratta di una meditazione camminata che serve a intervallare due sedute di zazen, la più classica e conosciuta forma di “meditazione seduta” dello Zen. 
La camminata del kin-hin inizia sempre con il piede destro: s’inspira, si solleva il piede, si espira e lo si appoggia a terra.  
 
Si avanza di mezzo passo per volta, ciascuno in base al proprio ritmo ma in maniera armoniosa con gli altri meditanti presenti nella stanza. La schiena è ben dritta, le spalle rilassate e le mani nella posizione di sasshu, e cioè con la mano sinistra con il pollice stretto tra le dita, racchiusa dalla destra che la avvolge tutta, i gomiti alti.  
 
Le vertebre cervicali estese, il mento leggermente rientrato verso il petto, lo sguardo con un’inclinazione di 45° davanti a sé. Quando si arriva all’angolo della stanza si gira col piede sinistro esterno e ci si volta unendo i piedi. Al passo successivo si riparte col piede destro. 
Kin-hin non è essenzialmente diverso da zazen, a cambiare è la forma ma non la sostanza della pratica meditativa. Si tratta in entrambi i casi di sentirsi profondamente in relazione e in armonia con l’universo.  
 
Questo atteggiamento ci permette di condurre una vita senza separazioni e limitazioni. Grazie alla presenza totale, nell’istante e nel luogo presente, il meditante raggiunge l’unità corpo-mente.  
 
Si procede come descritto camminando fino al suono della campana che segna la fine della sessione di kin-hin. 
 
Al rintocco della campanella, sempre in sasshu, si uniscono i piedi e si china lievemente la testa in avanti. Subito si riprendel a camminata partendo con il destro, stavolta mantenendo un passo veloce fino a raggiungere nuovamente il proprio cuscino da meditazione.  
 
Raccolti in sasshu, si attende che tutti i partecipanti alla sessione siano ritornati al proprio posto, dopodiché ci si volta di 180° in senso orario, si fa gassho rivolti verso la parete e ci si siede in posizione sul proprio zqfu. Seduti nella corretta postura, al terzo suono di campana, con le mani disposte in hokkai-jouin ci si prepara per il secondo tempo di zazen.  
 
La fine della seconda sessione di zazen sarà scandita da quattro colpi di campana che segnano l’inizio della cerimonia dei Sutra.  
 
La recitazione dei Sutra è sia esercizio intellettuale sia vibrazione energetica: come avviene anche in zazen l’obiettivo finale è quello di abbandonare il proprio ego, la propria individualità per fondersi col cosmo.  
 
L’atto della camminata ha il potere di riportare l’uomo alla coscienza del propria autentica natura, dell’esserci, e rappresenta quindi tin modo per riprendere contatto con se stessi, con il proprio corpo, la propria mente, con il proprio ruolo nel mondo.  
 
Ciò potrebbe apparire banale e scontato, eppure nella nostra vita quotidiana così come in quella lavorativa ci aggiriamo spesso come fantasmi, immersi e sopraffatti da continui stimoli esterni, perdendo in tal modo il senso del nostro esistere, dell’esserci qui e ora.  
 
Meditazione camminata per tutti 
 
Il vantaggio della meditazione camminata è che può essere praticata in qualsiasi momento: quando andiamo a prendere l’automobile, per andare da una stanza all’altra del nostro ufficio, uscendo dal lavoro, facendo le pulizie in casa ecc.  
 
Si rivela particolarmente adatta alle persone nervose, come preparazione a quella seduta, più impegnativa.  
 
Questa meditazione si può fare camminando in cerchio in una stanza, o seguendo un vero e proprio percorso, oppure andando avanti e indietro per un tratto di circa 200 30 passi; in quest’ultimo caso, alla fine del tratto ci si può fermare, fare tre respiri in pieno contatto con le proprie sensazioni e quindi ritornare indietro. Non deve essere una camminata forzata e innaturale:  
l’importante e la profonda consapevolezza del corpo e della mente, e magari un sorriso.

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