"Spirito, termine con cui si traduce il greco pneuma, che nella più antica accezione significava «respiro», «aria», «soffio animatore» (in latino spiritus). Gli stoici intesero il pneuma come energia che dà la vita a tutta la realtà, principio vitale, «anima del mondo»; la medicina antica e medievale lo concepì come sostanza materiale mobile e sottilissima (lo spiritus corporeus o animalis), e ancora Cartesio, nel Trattato sulle passioni dell'anima, considerava gli «spiriti animali», prodotti dal sangue e inviati al cervello dalle arterie, il fondamento fisiologico dell'attività psichica. Sin dalle origini, tuttavia, il pensiero cristiano intende il pneuma anche in senso immateriale, come soffio divino animatore dell'universo (in questa accezione verrà ripreso da Bruno nel rinascimento) e infine come anima di Dio e poi dell'uomo (già in Filone l'Ebreo, quindi in Origene e in san Paolo, che contrappone lo «spirito» alla «carne»). La teologia e la filosofia cristiane parlano pertanto, oltre che dello Spirito Santo, di «spinti puri» (Dio e gli angeli) e di «spiriti infiniti», dai quali si distinguono gli «spiriti finiti», cioè le anime umane. Quest'ultima contrapposizione si trova ancora teorizzata nella filosofia moderna da Leibniz (Monadologia) e da Berkeley (Trattato sui principi della conoscenza umana), mentre Cartesio usa il termine «spirito» come sinonimo di sostanza pensante. Nel pensiero illuministico, invece, lo spirito si distingue dall'anima: quest'ultima, nella sua realtà psichica, deriva dalla natura, mentre il primo è inteso come prodotto dell'educazione e dei costumi sociali (Helvétius, Sullo spirito; ma si pensi anche allo «spirito delle leggi» indagato da Montesquieu).
Nel contempo il termine, come oggetto di scienze occulte e cioè nel senso del moderno «spiritismo», trova elaborazione in Swedenborg e in altri, suscitando la reazione critica di Kant nel saggio I sogni di un visionario (ovvero “di uno che vede spiriti”) del 1766. Per parte sua, Kant usa il termine “spirito” nella Critica del giudizio e nell'Antropologia per designare il potere produttivo e l'originalità creativa della ragione, e in questa accezione il termine ispirò la filosofia romantica (in particolare Schelling), che ne fece tuttavia un uso metafisico ben oltre i limiti formali del criticismo kantiano. Da qui (ma anche dalla tradizione Illuministica di Montesquieu) deriva la prima accezione hegeliana del concetto di spirito (Geist) elaborata nella Fenomenologia dello spirito del 1807 e poi allargata a sistema complessivo nell'Enciclopedia, con le distinzioni tra spirito soggettivo, oggettivo e assoluto. La straordinaria ampiezza e profondità speculativa che si accompagna alla utilizzazione hegeliana del concetto si trasmise alle successive riprese dell’hegelismo (in particolare alla «filosofia dello spinto» di B. Croce, con la quadripartizione dello spirito nelle categorie dei «distinti», e alla Teoria Generale dello spirito come atto puro di G. Gentile); ma tale influenza si esercitò, sebbene in forma più indiretta, anche sulla distinzione tra «scienze dello spirito» e «scienze della natura» proposta alla fine dell'Ottocento da W. Windelband, che riprendeva la problematica sviluppata da W. Dilthey nella Introduzione alle scienze dello spirito (Geisteswissenschaften). Entro tale clima posthegeliano è da porsi anche lo spiritualismo di H. Lotze. Altra natura e origine speculativa presentano invece sia la corrente dello spiritualismo, che si rifà alla tradizione cristiano-medievale, a Cartesio, Pascal e Maine de Biran, sia la filosofia dei valori di M. Scheler e Il problema dell'essere spirituale di N. Hartmann, che si ispirano alla fenomenologia husserliana."
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