martedì 26 marzo 2013

Il bodhisattva Avalokitesvara







Un gruppo di persone stava viaggiando una volta attraverso un deserto, quando accadde che tre di loro deviarono la via e si persero. Stanchi ed assetati questi tre vagarono per il deserto nella speranza di trovare un luogo per far una sosta. Finalmente la loro ricerca finì quando scoprirono un pozzo. Il primo uomo corse verso di esso, guardò in giù e vide che era pieno di deliziosa ambrosia liquida. Lui immediatamente gridò in un gesto di frenetica euforia e saltò giù senza più fare ritorno. Il secondo pure fece lo stesso. Infine il terzo uomo si diresse quietamente fino al pozzo, sbirciò oltre l’alto muro, poi si voltò e tornò indietro verso il deserto a cercare gli altri suoi amici viaggiatori, per aiutare a guidarli in questo paradiso.  
Anche la vita di un bodhisattva è fatta così. In stretti termini canonici si definisce ‘bodhisattva’ un individuo che scopre la sorgente della Verità Ultima, meglio nota come Nirvana, ma posticipa la sua propria Illuminazione finché non ha guidato tutti i suoi amici esseri senzienti a questa stessa sorgente della Realizzazione. Un compito formidabile, come minimo. Il Sentiero del bodhisattva è così una estrema abnegazione del proprio ‘sé’. Secondo il Lankavatara sutra (4 secolo d.C.): 
"Un bodhisattva desidera aiutare tutti gli esseri a raggiungere il nirvana. Egli deve perciò rifiutare di entrare lui stesso nel nirvana, perché apparentemente non può rendere alcun servizio agli esseri viventi dei mondi dopo il suo proprio nirvana. Lui si trova così nella posizione alquanto illogica di indicare la Via del nirvana agli altri esseri, mentre lui resta in questo mondo di sofferenze per far il bene a tutte le creature. Questo è il suo grande sacrificio per gli altri. Lui ha fatto il grande Voto: "Io non entrerò nel nirvana finale prima che tutti gli esseri siano stati liberati". Lui non realizza la suprema Liberazione per sé-stesso, poiché non può abbandonare gli altri esseri al loro destino. Egli dice: "Io condurrò tutti gli esseri alla liberazione. Io starò qui fino alla fine, anche nell'interesse di un solo essere vivente." 
La stessa parola 'bodhisattva' è fautrice di una ricca analisi etimologica. Essa è composta di due parole: 'bodhi' e 'sattva', che connotano entrambe significati profondamente spirituali. Bodhi significa "risveglio" o "illuminazione", e sattva significa "essere senziente". Sattva ha anche radici etimologiche che significano "intenzione", intendendo l'intenzione di illuminare gli altri esseri. Così la parola composta ‘bodhisattva’ significa la vera essenza degli esseri divini a cui si riferisce. 
L’ estetica Buddista, come molta sua letteratura, riporta le verità spirituali nella più semplice maniera accessibile per tutti. Anche i vari bodhisattva dominano la scena dell’arte Buddista, illustrando quest’astratta concettualizzazione in una maniera così forte come i vari miti che li circondano. A tal riguardo, il bodhisattva più prominente è Avalokiteshvara
La parola 'Avalokiteshvara' deriva dal verbo Pali 'oloketi ’ che significa "guardare a, guardare giù o su, esaminare o ispezionare". Il termine avalokita ha un significato attivo, ed il nome significa, "il signore che vede (il mondo con pietà)". Il tibetano equivalente è spyanras-gzigs (il signore che guarda con occhi). Il testo noto come Karanda-vyuha (8 secolo d.C.) spiega che egli è chiamato così perché lui vede con compassione tutti gli esseri che patiscono i mali dell’esistenza. Qui è interessante notare che una caratteristica dominante nella descrizione di Avalokiteshvara è la sua capacità di "vedere" la sofferenza degli altri. Nessuna meraviglia quindi che lui è rappresentato con mille occhi che spesso simboleggiano la sua onni-inclusiva abilità di vedere con compassione la sofferenza degli altri, condividendo così il loro dolore, un primo passo verso il loro sollievo ultimo. Non solo, ma egli ha inoltre anche mille mani che lo aiutano nell’enorme compito di liberare gli innumerevoli esseri verso il loro ultimo adempimento spirituale. La mitologia associata ad Avalokiteshvara è come la sua iconografia, molto interessante: 
Con i suoi sforzi sostenuti, alla fine Avalokiteshvara fu in grado di portare all’illuminazione tutti gli esseri senzienti, gestendo la salvezza per tutti. Entusiasta, egli rivelò il successo dei suoi sforzi al suo spirituale padre, Amitabha. Amitabha gli chiese di guardarsi dietro. Girandosi indietro, Avalokiteshvara vide che il mondo si era riempito di nuovo con nuovi sofferenti che attendevano la loro fuga dal ciclo continuo di nascita, morte e rinascita. Sprofondando nella disperazione, gli occhi di Avalokiteshvara versarono lacrime di compassione. Egli pianse in modo così pietoso che gli scoppiò la testa. Amitabha tentò di riassemblarne i pezzi ma non vi riuscì completamente. Nella confusione che ne seguì egli mise insieme nove facce complete, ognuna con un'espressione gentile. Aldisopra egli vi mise la testa demoniaca di Vajrapani che ha la funzione di scacciar via il male, e infine, in cima mise la sua stessa testa per assicurarsi che in futuro tale evento non riaccadesse. 
Egli quindi siede così a guardia sulla cima delle file di teste di Avalokiteshvara, per rendere definitivo il fatto che Avalokiteshvara nella sua compassione infinita non sarà più portato via, arrivando alla sua propria distruzione.

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