mercoledì 20 marzo 2013

Il Principio di relatività.





Bene, relativismo e assolutismo, si diceva.
Relativismo culturale, etico, morale, religioso, filosofico e scientifico. Anche la filosofia della scienza ha il suo relativismo; anche la politica non è da meno.
Perché in certi campi è non solo accettabile e tollerato, ma perfino auspicabile, mentre in altri viene avversato, considerato negativamente e criticato?
In politica, scienza e filosofia, il relativismo è considerato una conquista, un'importante lascito del secolo delle riforme: una liberazione dalle pastoie della rigidezza di un'età oscura. In queste branche del sapere ha significato il trionfo del libero pensiero, della libera ricerca e, soprattutto, della continua ricerca. Ha voluto dire restituire importanza all'individuo, alle sue capacità di pensare, di apportare modifiche ai modi di pensare ufficiali e di portare nuovi contributi. Non solo: significava la libertà di sbagliare e di riconoscere da soli i propri errori.
Se questo atteggiamento valenze così positive in certi settori, perché non può essere adottato anche in altri o addirittura in tutti.
La definizione di questa parola è la seguente: ogni concezione che afferma il valore relativo della conoscenza umana, ogni concezione che nega l'esistenza di valori assoluti; ogni concezione secondo cui  non esistono  principi generali che consentano di giudicare  i valori e le istituzioni delle singole culture e civiltà e, infine, la caratteristica di ciò che è relativo, non immutabile e non definitivo.
Interessante è anche il suo contrario: il dogmatismo, l'assolutismo.
Il relativismo, quindi, ha alla sua base il fatto che sia impossibile raggiungere una conoscenza assoluta e universamente valida, non che sia impossibile raggiungere una conoscenza.
La conoscenza, la verità, il valore raggiunto, sarà solo relativo alle condizioni che hanno portato alla sua definizione ed alle premesse che abbiamo posto all'inizio della ricerca. Tra le quali quella che ogni conclusione è sempre in attesa di verifica, contraddizione, eventuale smentita ed auspicabile superamento.
La ricerca è infinita.
La realtà stessa è infinita.
L'osservatore, invece, è finito e immerso nella realtà stessa che vuole indagare, non è esterno: la sua capacità di giudizio è forzatamente relativa.
Anche la capacità di intendere eventuali verità rivelate dall'esterno, che saranno comprese solo in misura relativa alle promesse date, è relativa.
Tutto questo, come dicevo, in politica, filosofia e antropologia culturale, è ampiamente accettato.
Nelle scienze, che pure si basano sullo stesso principio di relatività della conoscenza, spesso l'orgoglio umano e la nostra stessa necessità di ordine fanno sì che si possa scadere in un'eccessiva fiducia nelle ultime, e maggiormente condivise, conclusioni; vedi il cosiddetto modello standard o la critica xche lo stesso Einstein oppose alla meccanica quantistica.
Nei settori etico, morale e spirituale, invece no, il principio di relatività è considerata una bestemmia, un pericolo mortale, un baratro di disordine e distruzione.
Tale concezione  è basata su di un errore strutturale: il relativismo non significa rinuncia a cercare valori fondanti.
Non vuol dire che non esiste la verità.
Il vero senso del relativismo è che ogni valore fondante, ogni verità, ogni conclusione, ogni teoria o concezione filosofica, deve essere inteso in senso non assoluto e quindi che nulla può portare alla censura di valori (  conclusioni, teorie, concezioni etc.) che gli altri hanno posto alla base della loro vita o della propria condotta o della propria concezione del mondo.
La mancanza di verità o l'impossibilità di raggiungere un qualche tipo di conoscenza, non sono vconclusioni che si possono desumere dal relativismo. Anzi, ne sono la negazione, perché sono un dire di no e non un dire forse.
La negazione della possibilità di raggiungere un qualche tipo di conioscenza, come anche l'assenza di valori fondanti o verità spirituali, sono un altro tipo di assolutismo, di dogmatismo, un modo per dire che le cose stanno così perché stanno così e STOP!
Il principio di relatività in questo modo ci prospetta scenari tutt'altro che caotici, sempre che la libertà di pensiero, l'onestà intellettuale e il rispetto delle opinioni altrui non siano visti come agenti del caos.
Ricordiamoci che il contrario del relativismo è apputno l'assolutismo, ovvero l'ammettere una sola visione, escludendo le altre.
Escludere significa proibire, negare, epurare, contrastare.
Se la realtà è infinita, infinita è la somma delle ipotesi possibili.
Infinita è la verità stessa.

Postilla
Allora perché punire chi commette del male? Perché creare delle leggi?
Ognuno, seguendo quest'opinione ha diritto di seguire la propria visione della vita, anche se è criminale.
Sembra una logica conseguenza di quanto ho setto finora.
Non lo è!
Commettere il male, cioé fare del male agli altri in modi diversi, significa violarne lo spazio vitale, affettuivo, culturale e così via: è una forma di imposizione della propria visione sugli altri. E' una forma di assolutismo.

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