giovedì 5 settembre 2013


Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? è un dipinto del 1897 di Paul Gauguin ad olio su tela (141 x 376 cm).
L'opera, che pone i massimi quesiti esistenziali dell'uomo, fu dipinta dall'artista a Tahiti in un momento assai delicato della sua vita: prima di un tentativo non riuscito di un suicidio (L'artista era malato, aveva seri problemi al cuore ed era sifilitico, in lotta con le autorità locali ed isolato sia fisicamente che artisticamente).
Concepita come il fregio di un tempio (numerosissimi sono i richiami alle figure del Partenone, ai templi di Giava e alla cultura maori), dà l'idea di un affresco, poiché presenta i bordi rovinati. Nei bordi inserisce il titolo dell'opera (a sinistra) la firma e la data (a destra), altro elemento tipico dell'arte bizantina.
L'opera va letta da destra a sinistra (appunto all'orientale) come un ciclo vitale disposto ad arco: non a caso, all'estrema destra è raffigurato un neonato, che già dal momento della nascita è lasciato nell'indifferenza di chi lo circonda. Al centro un giovane (l'unico personaggio maschile) sta cogliendo un frutto e può essere interpretato in due modi: 1.Come richiamo al peccato originale 2.Come simbolo della gioventù che coglie la parte migliore dell'esistenza. Alle spalle del ragazzo, una figura con il gomito in alto contribuisce a definire la struttura triangolare della prima metà, al cui vertice sono messe in risalto le due figure rosse sullo sfondo, emblematiche e con l'aria di chi ordisce trame nell'ombra: esse sono simbolo dei tormenti e delle domande che giacciono nel profondo di ogni animo, che peraltro danno il titolo al quadro.
La stessa struttura si ritrova nella seconda metà del dipinto, speculare rispetto all'uomo centrale. Al vertice troviamo stavolta la divinità, anch'essa col suo significato simbolico: l'inutilità e la falsità della bugia religiosa, magra consolazione e senso provvisorio di una vita in realtà vana. All'estrema sinistra troviamo una vecchia raggomitolata su di sé (identica ad una mummia peruviana vista dal pittore in gioventù) in attesa della morte, trasfigurata in un urlo quasi munchiano dinnanzi alla vacuità di senso dell'esistenza (piuttosto che per la paura della morte, dall'artista abbracciata almeno nelle intenzioni dopo la conclusione dell'opera). Infine, uno strano uccello bianco con una lucertola tra le zampe, simbolo della vanità delle parole, chiude la lettura del dipinto.
Lo sfondo rappresenta la vegetazione in maniera sintetica: i rami si trasformano in arabeschi (decorazione doppia); i colori sono antinaturalistici: infatti gli alberi sono blu.
Le due figure di giovani accovacciate su entrambi i lati e l'idolo blu della dea Hina sul fondo compaiono in molte opere dello stesso periodo.

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