"10.
Era la tarda mattinata di un giorno qualsiasi della settimana. Fra poche settimane sarebbe stata Pasqua e quel maestro, come tutti, era tornato a Gerusalemme per prepararsi alle feste, insieme ai suoi discepoli. Per pranzo avrebbe mangiato delle focacce e delle verdure sotto qualche ulivo ma ora aveva voglia di starsene lì seduto nel portico esterno del Tempio a guardare la gente passare e ad ascoltare distrattamente i giovani intorno a lui: Giovanni non la smetteva di parlare, Filippo si intestardiva di rispondere in greco e Pietro sottolineava alcune frasi con secchi grugniti.
Quando nessuno lo osservava, e succedeva più spesso di quanto tu possa immaginare, il Maestro scarabocchiava. Se li aveva, usava inchiostro e papiro, oppure pergamena o una delle tavolette cerate che si usavano a scuola oppure, molto semplicemente, un dito e la polvere della strada.
Non erano sempre vere frasi. A volte erano singole parole. O figure di un qualche tipo, come uno studente svogliato che lasci correre la penna sul foglio durante la spiegazione del professore.
Aveva preso un pezzetto di legno e aveva iniziato a tracciare linee e cerchi, poi qualche parola, poi una serie di punti, poi aveva immaginato di fare una caricatura a Pietro, con quel suo ghigno perennemente accigliato che gli solcava due profonde rughe sopra il naso monumentale e quella barba ispida che circondava la mascella squadrata. Un sorriso gli aveva mosso la barba.
Poi, sentì un ruggito crescere da lontano. Prima una voce indistinta, che si divise a diventare due, poi tre, poi dieci poi una moltitudine. Un crescendo di parole che correva verso di lui.
Non alzò la testa ma per un istante ebbe paura. Beh forse non proprio paura: una specie di apprensione o magari era solo sorpresa. Pensava di avere ancora un po' di tempo. Magari si era sbagliato.
Ma quella gente non ce l'aveva con lui, almeno non direttamente, non ancora.
Non erano soldati. Si vedeva bene che venivano dal Tempio. Suoi compatrioti, in tutto e per tutto.
E davanti c'era una figura curva che veniva fatta avanzare a forza di calci e spintoni da tre o quattro energumeni dalla testa scoperta e dalla barba corta. Quelli che seguivano erano sicuramente sacerdoti, quegli impiastri che non facevano altro che seguirlo giorno e notte per pesare ogni sua azione e ogni sua parola. La figura scura che procedeva incespicando si teneva stretta nella veste come se si fosse gettata addosso la prima cosa che aveva trovato appena alzata dal letto. Era sicuramente una donna.
Dietro al gruppo principale veniva una folla abbastanza nutrita di uomini urlanti e dietro ancora c'erano delle donne che gridavano se possibile ancora più forte e per ultimi dei bambini che giocavano e correvano e strillavano e sembravano divertirsi un mondo.
Per qualche motivo che non era ancora chiaro, aveva subito capito di essere lui la meta di quella processione ma non aveva voluto alzare la testa. Non si mosse neppure quando si accorse che i suoi avevano smesso di battibeccare, persino Giovanni aveva chiuso bocca e si era quasi nascosto dietro le sue spalle.
Pietro invece si era piazzato quasi di fronte a lui, a gambe divaricate, con i pugni stretti. Il maestro sorrise di nuovo e scosse la testa.
Il corteo era quasi arrivato di fronte a lui, la folla era cresciuta includendo anche chi prima si trovava nei portici o fermo ai banchi di cianfrusaglie. Il clamore era cresciuto ancora fino a dargli fastidio alle orecchie tanto che fu costretto ad alzare la testa e strizzare gli occhi per difendersi dal sole del mezzogiorno.
Con uno strattone la donna venne sbattuta a terra davanti ai suoi occhi. Era giovane, non più di vent'anni, e continuava a sostenersi le vesti perché non le cadessero di dosso e cercava di rimettersi in piedi ma gli sgherri intorno a lei la spingevano a terra con i piedi nudi. Quelli erano i servi dei sacerdoti del tempio, forse gli stallieri o i guardiani dei porci: erano lucidi di sudore, spettinati e con le barbe umide di vino.
La donna piangeva e cercava di coprirsi la faccia con le mani che si erano coperte di terra. Le sue lacrime scavavano delle righe sulle guance anche se i suoi singhiozzi si sentivano appena.
La folla si zittì.
Nell'aria calda si sentivano solo i lamenti della donna a terra e l'ansimare degli spettatori più vicini.
Lui adesso era in piedi davanti al portico: era alto, persino più alto di Pietro, che era arretrato nell'ombra senza smettere di digrignare i denti.
Il sole gli batteva sulla testa e aveva la fronte fradicia di sudore, gocce calde gli scorrevano sul petto e lungo la schiena. Aveva voglia di andarsene da lì, voleva mandare a quel paese tutta quella gente che gli si faceva incontro e che continuava a chiedergli qualcosa, qualsiasi cosa.
Uno di quelli con la testa coperta venne avanti e gli si rivolse alzando la voce per farsi sentire bene.
–Maestro, noi abbiamo una legge e la nostra legge ci dice che questa donna deve morire. E' stata trovata in flagrante adulterio e quindi sarà lapidata.
La donna, a terra, non smetteva di piangere sottovoce ma non alzava la testa, non lo guardava; non guardava neppure il suo accusatore. Sembrava rassegnata al suo destino, quell'uomo alto con la barba lunga non lo avrebbe cambiato. Sembrava quasi seccato di essere disturbato da quell'intrusione. Non l'aveva ancora neppure guardata negli occhi. E poi, era un altro di quei predicatori del deserto, quei conservatori, quei bacchettoni che tuonavano fulmini contro i tutti i peccatori: c'era poco da sperare, magari sarebbe stato il primo a colpirla.
Lui guardò bene chi aveva parlato. Doveva essere uno di quei nuovi sacerdoti messi nel Tempio dai romani. Non doveva avere neppure quarant'anni e nella barba impomatata non aveva un solo pelucco bianco. Se ne stava ritto sui sandali, come su un podio.
Si rimise a sedere. Si sentiva stanco. Era un lavoro difficile, a volte aveva voglia di lasciare perdere. Capiva che quella donna era solo un pretesto, in un altro momento non sarebbe stata neppure considerata. Il vero obiettivo era lui. Era lui che volevano, quella disgraziata era solo un mezzo, solo un espediente per arrivare a lui.
Stolti.
Ormai era una guerra di strategia.
Si rimise a scrivere con il dito nella polvere.
- Bene. Voi, che siete senza peccato, scagliate la prima pietra.
Il silenzio divenne totale. Poteva sentire il respiro della folla che aveva davanti. Anche i bambini avevano smesso di giocare. Non voleva guardarli ma sapeva cosa stava succedendo. Sentì le pietre cadere dalle mani e molti sandali pestare e scuotere la polvere.
Quando alzò di nuovo gli occhi vide che erano rimasti soli.
D'improvviso la piazzetta davanti al portico era deserta. Dietro le sue spalle i suoi apprendisti borbottavano tra loro.
La donna era sempre lì, stesa nella polvere. Non aveva mai smesso di piangere. Nessuno gli aveva ben spiegato la sua storia e la sua colpa ma in realtà non aveva nessun desiderio di conoscerla. Era un'altra povera creatura contestata per le sue scelte. Chissà? Magari aveva già un paio di figli. E poi in quei tempi adulterio poteva voler dire qualsiasi cosa. Sinceramente non gli importava nulla.
Lei alzò la testa e lo guardò.
Aveva gli occhi nocciola e qualche traccia di trucco sulle palpebre.
- Nessuno ti condanna?
La donna tirò su col naso e scosse la testa.
- Nemmeno io ti condanno.
Si alzò e si avvicinò a lei.
La veste che si teneva stretta era solo un drappo scuro, magari una coperta, forse era stata davvero scoperta dal marito nel letto di un altro, chissà cosa facevano a quei tempi agli amanti delle adultere? Probabilmente gli offrivano da bere.
Lei prese la mano che le veniva offerta e si alzò da terra.
- Vai e non peccare più.
Negli anni a venire si pentì ogni giorno di non essersi fermata ma in quel momento non poté fare a meno di fuggire via di corsa.
Lui, il Maestro, sorrise.
Guardò i suoi amici: non riuscivano a dire niente. Giovanni provò a formulare “m..s..ro...” ma lui si voltò di nuovo e s'incamminò verso quell'ulivo per il pranzo."Buone Notizie, pp. 39 - 48
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