mercoledì 16 gennaio 2013

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La maestra di Gilberto era una di quelle persone che organizzano, se non le proprie amicizie, almeno il rispetto da dare al loro prossimo in base alla posizione che questi o le loro famiglie occupano nell’umano consorzio. Non dovete pensare che la muovesse un sentimento di vile convenienza, non avendo mai materialmente ricevuto vantaggi da questo suo atteggiamento, si trattava piuttosto di semplice (cattiva) educazione e senso di subordinazione allo stato puro, un sentimento per cui il figlio dell’avvocato era sempre e comunque più bravo e meritevole del figlio del contadino anche quando impugnava la penna al contrario o imparava a leggere senza sillabare solo dopo la licenza media. Allo stesso modo l’alcolismo del medico del paese era una semplice debolezza di cui solo a volte si sussurrava e i continui nuovi lividi che comparivano sulle gambe dei figli del professore erano tanto trasparenti ai suoi occhi quanto la curiosa somiglianza che i tre eredi del farmacista avevano con il parroco o quanto il via vai di gentiluomini che c’era per le scale della casa dove abitava il capitano, mentre questi era per mare.  Se nella sua personale classifica di importanza i vari figli di imbianchini, operai, braccianti e contadini venivano dopo i rampolli dei ricchi e dei benestanti del paese, sarà facile capire come per Gilberto fosse necessario trovare una nuova categoria, qualcosa che fosse addirittura oltre l’intoccabilità. Difatti per lei divenne addirittura invisibile, o meglio inguardabile e quindi del tutto inguardato. Questa sua originale posizione oltre a metterlo in ulteriore difficoltà con i compagni più quotati ne compromise anche i rapporti con i compagni di più modesta collocazione sociale perché comunque loro una posizione l’avevano mentre lui, lui cosa diamine era? Si sentiva un po’ come quel negro che, scappato dalla piantagione, viene scacciato perfino dalla riserva apache.
Non gli restava nient’altro che lasciar correre, cosa che può risultare facile da farsi prima dei tredici e dopo i sessanta anni ma sicuramente non nel me"
Inedito, pp. 14 - 15.

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