lunedì 14 gennaio 2013

"14.


Quel giorno c'era molta attesa per quello che avrebbe detto il Maestro. Erano mesi che non predicava più. Chi gli era più vicino diceva che sembrava più stanco e più magro e più fragile del solito. Non era vecchio, dicevano i più anziani, ma nemmeno più tanto giovane, rispondevano i ragazzi: in realtà nessuno sapeva quanti anni avesse di preciso, qualcuno diceva cento, altri suggerivano che non ne avesse più di cinquanta, altri erano sicuri di averlo visto già vecchio quando erano appena bambini. Non sappiamo chi avesse ragione ma di sicuro intorno a lui iniziava a crearsi una certa apprensione, una specie di ansia. Uno stare sulle spine, come quando inconsapevolmente sai che sta per succedere qualcosa e che non hai più tanto tempo, anche se a prima vista non sembra proprio.
Alla base di tutta questa latente preoccupazione c'era poi forse una ragione di tipo eminentemente pratico: il maestro insegnava e predicava da molti anni, si era fatto migliaia di discepoli, la sua fama si diffondeva sempre più lontano e ogni anno arrivavano sempre più nuovi seguaci dalle terre al di la' del fiume ed al di la' delle montagne. Lui continuava ad insegnare la via, come sempre aveva fatto, a chiunque lo chiedesse, e a predicare con lo stesso sorriso e la stessa dolcezza. Ogni giorno si svegliava prima di tutti e i giovani più mattinieri lo trovavano che meditava da ore seduto su una pietra piatta vicino alla cascata. Appena li vedeva arrivare si alzava, sorrideva, scherzava con loro, a volte li sfidava a chi riusciva ad arrivare per primo al monastero. Ogni giorno mangiava, meditava e insegnava come sempre da decine di anni. Ma appunto gli anni passavano e nessuno era stato ancora indicato come suo successore.
Chi ha mai fatto parte di una comunità gerarchica chiusa, come appunto un monastero o una famiglia patriarcale, sa come una situazione come questa possa divenire oltremodo pericolosa, come l'improvvisa scomparsa del capo senza che ci sia una chiara definizione delle competenze post mortem, possa portare a disordini indicibili l'esito dei quali rimane del tutto impossibile a prevedersi.
I capi dei monaci erano abbastanza preoccupati per quanto non si permettessero di esternare questo loro stato d'animo al Maestro.
Lui, per quanto lo riguarda, era perfettamente a conoscenza di tutto questo e ne era sinceramente divertito. A dire la verità erano anni che non si divertiva così tanto: ogni volta che accusava un nuovo doloretto alla schiena o che diceva di non avere appetito, scrutava le facce dei suoi monaci per trovarvi confusione e apprensione ma nessuno osava chiedergli niente.
Quel giorno comunque aveva deciso.
In effetti era un po' che aveva rarefatto le sue apparizioni pubbliche, anche perché gli pareva che chi lo ascoltava avesse fatto l'abitudine alle sue parole e che vivesse quelle prediche periodiche come parte di un rituale e non come un  messaggio esplicitamente diretto ai loro cuori perché imboccassero la via e guadagnassero la conoscenza. Iniziava a rendersi conto che intorno a lui si stava chiudendo una gabbia, invisibile quanto invalicabile, che avrebbe reso vana ogni sua azione futura. Era la gabbia della religione, la gabbia del rito. Quelle pastoie che aveva cercato di evitare sin da quella notte sotto l'albero di Pippala.
Il suo insegnamento si stava cristallizzando in una rigida statua di sale che rischiava di disfarsi sotto il suo stesso peso. Aveva già notato qualcuno degli ultimi proseliti armeggiare con carta e inchiostro mentre parlava ai monaci.
Era anche vero però che si sentiva effettivamente stanco. Le lunghe ore di meditazione lo stancavano sempre di più. Non ne soffriva ma si rendeva conto che il corpo non aveva più la resistenza di prima. In fin dei conti i capi dei monaci avevano ragione: presto avrebbe dovuto passare le consegne e prepararsi a transitare nel nirvana.
Sapeva che alle sue spalle erano in corso vere e proprie scommese sul nome del suo successore e, a quanto aveva intuito, erano tutti tremendamente lontani dalla verità. E questo rendeva tutto ancora più divertente.
Oggi sarebbe tornato a parlare alla folla e, davanti a tutti, avrebbe nominato il suo successore.
Il sole era già alto nel cielo e la folla nella valle ai piedi delle rocce iniziava a fare rumore, abbrustolendosi sotto il sole cocente.
Un monaco lo chiamò da dietro la porta.
- Padre?
- Si, - rispose lui – andiamo!
Uscì dalla stanza e dietro si formò il consueto corteo di monaci, dai più vecchi fino ai più giovani. Gli apprendisti poi di solito erano costretti a starsene tra la folla ai piedi delle rocce. Cercò con lo sguardo qualcuno alle sue spalle ma sapeva che sicuramente si era confuso nelle ultime file, attento a tenere in ordine i ragazzi.
Per arrivare al picco la strada era lunga e dissestata. Ricordò quando ci era salito quasi correndo la prima volta, trent'anni prima, e sorrise ancora. E poi oggi c'erano due lunghe file di persone che aspettavano che passasse per toccargli la veste o baciare le sue mani o dargli un fiore o un frutto. Di solito due monaci robusti intercettavano tutto quello che gli veniva portato ringraziando in vece sua e passando il tutto ad altri monaci con appositi cestini.
Un ragazzino riuscì in qualche modo a intrufolarsi fra le gambe degli uomini in prima fila e piombò sul sentiero quasi saltandogli addosso. Doveva avere non più di dieci anni, aveva gli occhi scuri e luninosissimi e lo guardava da dove era caduto a quattro zampe reggendo un mazzolino di fiori di campo nella mano destra. L'aveva talmente scosso, quel mazzolino, che le corolle pendevano a testa in giù intorno al pugno del bambino mentre questo lo offriva al maestro.
- Baba..
Il maestro ebbe un lampo negli occhi. Si tolse il mantello dal capo, sollevò il bambino e lo porse ad uno monaci più vicini.
-Portalo con te.
Prese i fiori, chinò la testa per ringraziare e riprese la strada.
Dalla cima dello stretto viale poteva vedere molto lontano, ben oltre la folla che si era radunata per sentirlo parlare quel giorno. Per ascoltare qualcosa che sembrava fosse da non perdere. Fonti sicure parlavano di rivelazioni sensazionali.
Il maestro si avvicinò al muretto di roccia, che anni prima avevano costruito per evitare che cadesse da lassù, si volse ancora una volta verso il bambino e lo salutò agitando una mano, poi si girò e chinò la testa davanti alla gente che lo aspettava. Da questi si alzò un grido assordante.
I monaci erano seduti attorno a lui.
Il maestro si guardò ancora attorno poi raccolse il mazzetto di fiori che aveva poggiato a terra e lo alzò sopra la testa stringendolo forte in mano.
La folla si ammutolì. Se ne stettero tutti a fissarlo a bocca aperta in attesa della mossa successiva. Ma non c'era nient'altro. Lui continuava a tenere in alto i fiori e a guardarsi attorno.
Si girò verso i monaci e sulle loro facce poté leggere la stessa reazione che aveva visto su quelle giù nella valle. Stupore, attesa, disorientamento, perplessità, riflessione, si potevano leggere migliaia di sfumature diverse nelle espressioni di quei volti.
Ma non in tutti.
Finalmente vide il viso che cercava da quando era uscito da casa. Mahakasyapa se ne stava seduto in mezzo a un gruppo di ragazzini che si erano appollaiati su di un masso alla sua destra, lui che aveva quasi settant'anni.
Lui, che gli era stato vicino sin dall'inizio, che aveva vissuto tutta quell'avventura sempre al suo fianco, sempre vicino al maestro, sempre un passo indietro.
Lui che aveva seguito ogni sua scelta  e aveva percorso ogni sentiero che il maestro aveva tracciato per entrambi.
Lui che c'era sempre stato ed era sicuro che sempre ci sarebbe stato in futuro.
Lui lo guardava dritto negli occhi e sorrideva.
Lui aveva capito.

Lui si era illuminato.
ecco l'occhio del vero insegnamento
la mente meravigliosa dell'illuminazione,
la realtà priva di caratteristiche,
le tecniche di sottile stupore
non tramandati in parole e linguaggio,
trasmissione oltre la tradizione,
che punta direttamente alla mente,
raggiunge il risveglio in un istante."

Buone Notizie, pp. 83 - 92.

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