mercoledì 6 marzo 2013




Avevo in serbo un altro tipo di post. poi mi è capitato che oggi pomeriggio le colleghe di Religione e Arte mi hanno chiesto di accompagnarle per seguire un gruppo di ragazzi, di classi differenti, durante un'attività di volontariato al magazzino di raccolta del Banco Alimentare di Fossano.
L'inizativa non è nuova: si tratta di raccogliere il cibo che viene donato nelle scuole, dai clienti dei supermercati ed altro e  consegnarlo ai volontari del Banco Alimentare che poi si occupano del suo smistamento a chi ne ha bisogno.
E' un'emergenza reale che oltretutto presenta tratti nuovi: le persone bisognose non sono più - o almeno non solo - imprecisati 'poveri' dei paesi del terzo mondo o i 'soliti' immigrati ugualmente anonimi, bensì persone che hanno perso il lavoro e che alla loro età non riescono ad inserirsi, padri divorziati che non riescono a pagare gli alimenti e a tirare avamnti allo stesso tempo come anche madri  lasciate senza nessun reddito da ex mariti che non intendono continuare a mantenerle e così via.
Però in questo post non voglio parlare di povertà.
Voglio parlare di ragazzi e tramite loro anche di me, nella mia veste di insegnante.
A volte, sapete, tallonati dalle lezioni da preparare, dai consigli di classe a cui partecipare - per non parlare dei Collegi Docenti - e dalle oggettive mille difficoltà che nascono dall'avere a che fare ogni giorni con ragazzi che vivono forse il momento più difficile della loro vita; a volte, dicevo, dopo mesi passati a cercare di trasmettere qualcosa a ragazzi che sembrano remare contro corrente ed a ripetere mille, diecimila. centomila volte: silenzio; beh a volte capita di vedere un po' grigio, di lasciarsi un po' andare e di lamentarsi.
A volte capita, non dovrebbe, però capita.
Poi succede che accompagni quaranta di loro a svolgere un'attività tutto sommato complicata che comprende la cooperazione, l'organizzazione, l'ordine e la disciplina e... loro sono fantastici.
In meno di un'ora hanno vuotato quattro pedane di scatole piene di cibo, lo hanno ridistribuito in altre scatole secondo la data di scadenza, hanno chiuso le scatole e le hanno impilate di nuovo  su altre pedane.
Tutto questo in ordine, silenzio, buona educazione e collaborazione totale con noi insegnanti che, insieme ai volontari, abbiamo dato le poche dritte necessarie.
Nessuna risata scomposta, nessuna spinta e nessuno che si estraniava dal lavoro. Anche dopo, mentre facevano la giusta merenda: solamente facce sorridenti e tante chiacchiere abbastanza sottovoce.
Prima mi sono commosso perché vederli così è uno dei motivi per cui insegno, forse  quello principale.
Poi mi sono arrabbiato, perché non sempre mi riesce farli essere così in classe.
Ma non mi sono arrabbiato con loro, mi sono arrabbiato con me.
Si, con i ragazzi ho un buon rapporto e, anche nei casi che semnbrano più difficili, sono sempre riuscito a stabilire buoni rapporti ed a raggiungere risultati sufficienti, ma veramente di rado sono stato capace di farlo così: senza quasi dire nulla.
Ora più che mai sono convinto che  non è la loro risposta ad essere sbagliata ma la nostra domanda.
Forse  non chiediamo la cosa giusta o non lo facciamo nel modo giusto.
Quale che sia il motivo è sicuramente giunto il momento di cambiare.
E anche quello di ricordarci una volta per tutte, io per primo, che siamo lì per loro, per i ragazzi, e non viceversa.
Grazie.

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