L'uomo che resuscitò Gesù per la seconda volta fu
infine l'imperatore Costantino che, dopo la quasi totale
disintegrazione del tessuto sociale delle antiche
comunità cristiane, dovuta a tre secoli di esistenza
clandestina, nonché alla solerte opera dei funzionari
imperiali, ben decisi a bloccare quel movimento
sovversivo, riconobbe loro il diritto di professare la
propria fede e a celebrare i propri riti alla luce del
sole. Contemporaneamente, la fece oggetto di un certo
numero di donazioni in termini di beni mobili e
immobili. Costantino non era minimamente
interessato alle peculiarità del messaggio cristiano
quanto che l'ordine fosse mantenuto nel suo impero
anche se certamente preferiva i culti centralizzanti e
unificanti a quelli confusi delle religioni tradizionali e
a tal proposito favoriva sfacciatamente le nuove
religioni popolari come il mitraismo e il cristianesimo
peraltro facilmente confondibili tra loro. Inoltre queste
ultime erano seguite da famiglie avulse dall'antica
nobiltà senatoria, sua naturale avversaria, e
antagoniste di quella, potendo così risultare un valido
alleato in caso di necessità. Costantino non credeva
alla divinità di Cristo e neppure a quel dio straniero
privo di forma, non solo di forma umana: credeva
fondamentalmente in sé stesso, nell'impero, nella sua
maestà e nell'univocità del potere, che è uno, che lo è
sempre stato e che tale doveva rimanere per sempre. Il
dio cristiano non faceva del tutto al caso suo perché al
tempo non era propriamente uno: quei cristiani
facevano un mucchio di confusione. Il dogma del
tempo era impreciso e non esisteva una definizione
scritta di quale fosse veramente il credo dei cristiani.
C'era un dio padre, che pareva abitare i cieli, e un
figlio dotato, lui si, di poteri incredibili e straordinari;
ma poi c'era anche un non meglio definito spirito
consolatore che avrebbe seguito il figlio e qualcuno
cominciava addirittura a invocare la stessa madre di
Gesù e a sostenere la sua miracolosa assunzione in
cielo, come Elìa, l'antico profeta ebraico bandiera di
un nazionalismo che si era estinto da non troppo
tempo e che comunque covava ancora una certa
acredine tra gli ebrei della dispersione i quali spesso
coincidevano ancora con gli stessi cristiani. Tra le file
di questi c'erano poi molti malumori e l'imperatore
non risuciva a spiegarsi il perché: avevano finalmente
ottenuto il riconoscimento e nessuno li avrebbe più
perseguitati, cosa avevano ancora da lamentarsi?
Ne avevano eccome!
Quelli di origine ebraica sostenevano la predominanza
del Padre rispetto al figlio, sostenendone una sua
minore divinità, alcuni arrivavano a negarla del tutto:
altri ne conseguivano che l'accento dovesse comunque
essere posto sull'osservanza delle antiche norme
tradizionali alle quali giustapporre qualche novità
cristiana; quelli di origine gentile – asiatici, egiziani,
nordafricani, greci e romani – puntavano soprattutto
sul figlio, che come uomo aveva potuto veramente
camminare in carne ed ossa su questa terra e compiere
miracoli e promettere la vita eterna.
C'era confusione.
La verità era che quella fede nuova stava
invecchiando alla svelta, una volta che Paolo l'aveva
separata dal suo corpo giudaico. Gli apostoli erano
morti per lo più violentemente. I più anziani avevano
perso ogni contatto con i loro maestri e i loro racconti
erano ormai molto approssimativi. I testi sacri, che
soli avrebbero potuto garantire la tradizione, erano
stati distrutti in tutto l'impero durante i secoli e la
stessa vita del fondatore era stata inquinata da
elementi provenienti da altre fonti.
C'era poi Mitra che si era diffuso nell'impero
contemporaneamente ai discepoli di Cristo e che ne
aveva sempre più condiviso i luoghi, i tempi e i modi
di diffusione.
Al Concilio di Nicea non erano presenti solo i capi
cristiani di Alessandria, Antiochia, Atene,
Gerusalemme e Roma, ma anche i capi di molta altri
culti, sette e religioni, incluse quelle di Apollo,
Demetra/Cerere, Dioniso/Bacco/Iasios, Giano,
Giove/Zeus, Oannes/Dagon, Osiride e Iside e
ovviamente Sol Invictus, il Sole Invincibile, oggetto
della devozione di Costantino. L'intento di questo
concilio era unificare i vari culti in concorrenza sotto
un'unica Chiesa universale o cattolica che,
ovviamente, sarebbe stata comandata da Costantino.
Costantino non presiedette il concilio di Nicea per
fede, venerazione o pietà, e nemmeno per abuso di
autorità: nel suo modo di vedere era una semplice
conseguenza del suo ruolo di imperatore, doveva
garantire la pace e l'unità dei suoi sudditi senza
nessuna distinzione tra questioni civili e religiose, che
nel mondo antico erano sempre state sostanzialmete
confuse, anzi indiscindibili se non addirittura del tutto
compenetrate. Era necessario fare ordine e i romani
erano maestri in questo, l'ordine era la loro specialità.
Il concilio non fu un'assemblea costituente, assomigliò
piuttosto ad un richiamo ufficiale, un ritorno
all'ordine. Assolutamente imposto e coordinato a forza
dall'autorità statale.
I vescovi delle varie diverse chiese locali e i capi di
tutte le altre religioni vennero fatti firmare sotto la
minaccia delle armi, singolarmente e praticamente in
bianco. Le definizioni dogmatiche vennero sancite da
votazioni a maggioranza, cercando di volta in volta la
soluzione più semplice e più diffusa.
Fu così che venne decisa la data del natale, della
pasqua e delle altre feste religiose, così venne fissato
il dogma ed il corpo delle scritture, così venne
compilato ed approvato il primo vero credo ufficiale
della nuova religione, che usciva da Nicea come
chiesa unitaria secondo le visioni centralistiche del
proprio imperatore. Fu in questa stessa occasione che
per la prima volta venne coniato il nome “Gesù
Cristo”, unendo le principali religioni o chiese
presenti: lo Hesus dei Celti, lo Yoshua dei cristiani
ebrei, l'Horus/Iusa egizio e lo Ies dei Dionisiaci con il
Krishna indiano, il Kristos dei cristiani greci e il Krst
degli egizi .
Costantino si fece battezzare cristianamente sul letto
di morte, dopo aver compiuto comunque tutti i
sacrifici e gli atti prescritti da tutte le altre religioni
vigenti nel suo regno. La favola dell'imperatore santo,
redento e convertito alla vera fede dalla visione della
croce è, appunto, una favola.
cfr. ibidem, pp. 175-81
interessante, peccato che con questo sfondo così scuro rispetto al testo sia molto difficile leggere
RispondiEliminasei il secondo che me lo fa notare, ok: al diavolo le mie tendenze fricchettone, mettero' il fondo chiaro. :D
RispondiEliminaè una bella storia antica ! sei bravo ! ivana
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