mercoledì 23 marzo 2016
Regole
E' tipico delle religioni dettare regole.
Definire come si prega o cosa significa meditare: come si giungono le mani, come ci si siede o ci si inginocchia. Come entrare in chiesa o nella Moschea, Sinagoga o Tempio che sia. Se coprirsi o meno la testa e con cosa, se togliersi o meno le scarpe. Quando alzarsi e quando sedersi.
Ci sono regole riguardo ai libri ritenuti sacri, così come per i cibi e le bevande; viene precisamente elencato e stabilito cosa leggere, le preghiere da dire, le formule da usare e soprattutto il contrario.
Ecco non esiste religione che non vieti qualcosa, magari anche solo una piccola cosa inutile.
A volte, la maggior parte in verità, i divieti sono tanti e non ci si limita a guardare storto il trasgressore. Lanci la prima pietra la religione che non ha mai ucciso in nome di se stessa.
La spiritualità è esattamente il contrario.
Per questo le religioni la temono.
Tutto dipende da te.
Ogni gesto diverrà sacro a tuo piacimento, se lo vuoi, perché tutto è sacro e niente lo è.
L'uomo spirituale non vieta niente a nessuno.
Non impone preghiere o posizioni o diete particolari.
Non impone libri.
L'uomo spirituale accoglie tutto, ama tutto, accetta tutto e il suo contrario perché sa che tutto è Uno e la spuiritualità è ritornare all'essenza di tutte le cose, di se stessi in particolare.
lunedì 21 marzo 2016
Tutto e Uno
Domanda: Cosa significa che tutto è Uno?
Risposta: Sono sole parole e, in fin dei conti, potremmo usarne di diverse, ma il senso è che c'é una sostanziale unità in tutto ciò che esiste. Non ci sono differenze, distinzioni e separazioni nella realtà, che è una. L'esistenza è univoca, solidale e coincidente. Comprende tutto, spiega tutto, coincide con tutto ed è la ragione finale di Tutto. Potrei spiegartelo in modi ancora più complicati ma alla fine la verità è una: Tutto è Uno. Per lo stesso motivo, l'unità, l'essenza, la realtà finale è anche tutto ciò che esiste, l'unica cosa che è reale, proprio in quamto realtà: l'Uno è Tutto.
Domanda: Cosa intendi per tutto?
Risposta: Tutto è la realtà. Tutto ciò che esiste, che è esistito, che esisterà e che poteva o potrebbe esistere ma non lo ha fatto. E' l'insieme delle possibilità, delle variabili e delle probabilità. Non solo: il tutto è materiale ma è anche immateriale; lo sono pure i sogni, le speranze e perfino le illusioni e gli inganni. Tutto ciò che c'é ma anche ciò che non c'é: Tutto è un'altro modo per nominare l'universo infinito, la moltitudine stessa che è - comunque - una.
giovedì 10 marzo 2016
Apocalisse
Tutto ciò che esiste è Uno.
Nell'Uno non c'é conoscenza,
né cambiamento, né cammino.
Non c'è nascita né morte,
né perdita né guadagno.
Questa è la realtà ultima:
non ci sono distinzioni.
Per conoscere devi distinguere.
Avrai te e qualcosa di diverso;
l'osservatore e l'osservato,
tu e le milioni di cose.
L'Uno si conosce dividendosi.
Ecco la creazione e l'inizio delle cose:
l'Uno che conosce se stesso.
Ecco l'inferno, la dannazione ed il peccato:
l'Uno che dimentica l'Uno.
Ecco la liberazione, la realizzazione e la vita eterna:
l'Uno consapevole dell'Uno.
mercoledì 9 marzo 2016
Tu sei Quello.
"Tu sei “QUELLO” che sempre esiste e che precede ogni manifestazione. Che cosa viene prima? Il mondo o colui che vede il mondo? Il mondo è la creazione della propria coscienza. Essa può essere solo percepita tramite la dualità. Senza dualità non esiste il mondo. Il più gran miracolo è la coscienza della propria esistenza che crea in un istante il mondo che non è misurabile."
N. M.
Tu sei Quello.
Tu lo sei già!
Cercare ti posta lontano.
Siediti dove sei
e sii quello che sei.
Perché sei Tutto
e Tutto sei Tu.
martedì 8 marzo 2016
Placa la mia mente
Una volta che mi vide seduto da solo sulla sponda del fiume, il mio maestro mi chiese perché fossi turbato. Sono i miei pensieri, padre, gli dissi. I miei pensieri mi turbano e mi impediscono di trovare la pace. Lui si sedette, vicino e mi chiese, come fanno i pensieri a turbarti?. Non mi danno pace, risposi. Un flusso continuo di parole e cose e persone; ricordi di quello che ho fatto e che non ho fatto e di quello che avrei dovuto fare. Ricordi, rimorsi e rimpianti, gli dissi, che non riesco a fermare nè a controllare. Nascono da soli e mi entrano in testa e no riesco a lasciarli uscire. Che strano, sospirò sorridendo, io non riesco a vedere questi demoni che ti tormentano, sei sicuro che ci siano veramente? Mi voltai di scatto un po' seccato perché era normale che non li vedesse, parlavo di pensieri mica di cose che si possono vedere e sentire: i pesnieri esistono nella mia testa, gli dissi. Vuoi dire che sono dentro di te, fece lui.Si, nella mia testa. Come sono entrati la dentro? Chiese ancora. Maestro, mi stai punendo per qualcosa che ti ho detto, gli domandai preoccupato. No, tesoro mio, fece lui sorridendo, voglio solo aiutarti perché mi dici che qualcosa ti turba, dimmi cosa ti turba. I miei pensieri, risposi io. C'é un qualcosa di tuo che ti turba? Domando ancora. Si, risposi, i miei pensieri, maestro, non riesco a controllare i miei pensieri. Eppure sono tuoi, sorrise. Certo che sono miei, pensai che si stesse prendendo gioco di me; sono i miei pensieri, maestro.
Lui si fermò guardando la corrente del fiume poi disse, se sono tuoi, sono parte di te, giusto. Certo, risposi. Se sono parte di te, continuò lui, perché non li quieti? Il problema era quello; non ci risco, maestro, risposi, non ci riesco, come non controllo il mio cuore o non posso smettere di respirare, io non controllo la mia mente. Mi guardò e disse, i tuoi pensieri sono la tua mente. Non riuscirai a controllare niente di te stesso fin quando continuerai a vedere cose diverse dove non ce ne sono. non ci sono pensieri o mente o cuore o polmoni ma solo te stesso. Il vecchio Wibabu, come sai, rallenta il cuore fino quasi a fermarlo e tu stesso riesci a respirare solo una volta al minuto quando siedi in meditazione. Quando perdi di vista le differenze e le distinzioni, i confini tra questo e quello riesci ad avere il controllo. Finchè vedrai da una parte te e dall'altra la mente non riuscirai a controllare i tuoi pensieri, solo quando vedrai l'unità dove ora vedi differenze ci riuscirai.
lunedì 7 marzo 2016
Come devo meditare?
Una volta il mio maestro mi disse, sei tu il tuo maestro. Io ti cedo a te stesso perché tu ne abbia cura. Sii il primo dei tuoi allievi e l'ultimo degli insegnati.
La prima volta che gli chiesi come dovevo meditare, lui mi disse di stare seduto. quando gli chiesi come dovessi sedere, mi disse che non importava. Quando chiesi di nuovo a cosa dovessi pensare mi implorò di tacere.
Ora ho un paio di certezze, poche ma importanti.
Meditare non è un esercizio e soprattutto non è un mezzo.
Non conta la posizione e nemmeno il tempo e nemmeno il vestito o la musica di sottofo
ndo o la qualità dell'incenso che stai bruciando di fronte a te. Non serve l'incenso. Meditare non è un esercizio fisico. Non serve a rilassarsi o a raggiungere alcunché. Non servono posizioni o mantra o strani gesti con le mani.
E' tutto simpatico folclore, mi diceva lui, niente che serva per davvero. Lo puoi fare ovunque e comunque e non importa in quale posizione. Non importa se lo fai in un dojo, seduto in poltrona o in equilibrio sulla punta del pennone della bandiera. Non importa se ti siedi su uno zafu o su letto di spine o magari sul cesso. Non importa se sei a piedi nudi o vestito da cavaliere medievale. Non importa niente. Non ci sono regole. La meditazione non eiste, non è niente se non se stessa. La meditazione ha a che fare con quello che sei. non è fare, è essere. Osserva le pietre, mi diceva, meditano senza farlo. Sono esattamente ciò che sono, quindi meditano in continuazione. Ma tu, ripeteva ridendosela con la bocca sdentata, non sei una pietra e quindi non fare la pietra. Ecco, io adesso credo che la meditazione abbia decisamente a che vedere con il momento nel quale smetti di cercare di fare qualcosa o di essere qualcuno e ti lasci esistere e basta.
Per questo dico che non è un mezzo. Non è un allenamento per migliorare. La meditazione è il punto di arrivo stesso. Lui mi diceva, se siedi come un buddha ecco che sei un buddha. Ma come siede un Buddha? Chiedevo io e lui mi diceva: come un buddha, no? E scoppiava a ridere fino a farsi venire male alla pancia. Poi si ricomponeva e mi sdiceva: tu sei un Buddha, siediti secondo la tua natura. Queste battute e risposte potevano durare pomeriggi interi e mi lasciavano - soprattutto quando ero giovane - abbastanza indispettito. Poi un giorno, dopo la solita domanda, scoppiai a ridere anche io così forte che non riuscivo a fermarmi. Ci guardavano come se fossimo due pazzi furiosi: il vecchio straccione sdentato e il suo amico pelato avevano dprobabilmentee perso il cervello .
Ecco, meditare è essere. Non devi cercare o provare o fare qualcosa. Non devi fare, devi essere e non devi essere nient'altro che quello che sei. Sei quello che devi essere, lo sei già e quindi non hai bisogno di cercare.
giovedì 3 marzo 2016
niente da fare
"Tutto quello che fate rende impossibile l'esprimersi di quanto è già qui.
Per questo io lo chiamo lo «stato naturale».
Voi siete sempre in quello stato. Quello che impedisce a ciò che è già qui di esprimersi è proprio la ricerca. La ricerca va sempre nella direzione opposta, perciò tutto quello che considerate veramente profondo, tutto quello che considerate sacro, è una contaminazione di quella coscienza. Può non piacervi la parola «contaminazione», ma tutto quello che considerate sacro, santo e profondo è davvero una contaminazione. Così, non c'è niente da fare. Non dipende da voi. Non mi piace usare la parola «grazia», perché allora viene da chiedersi, «la grazia di chi?». Non si tratta di essere prescelti; capita, non so perché. Se mi fosse possibile, cercherei di aiutarvi. Ma questa è una cosa che non posso darvi, perché voi già l'avete. È ridicolo chiedere una cosa che già si possiede. " U. G. K.
Ci ammaestrano sin da piccoli a questo.
Cresci. Muoviti. Datti da fare. Impara. Lavora. Compra. Curati. Muori.
Anche le religioni.
Prega. Celebra. Fai. Non fare. Migliora. Illuminati. Cerca.
La vita alla fine diventa una corsa senza meta, ma per fare cosa?
Sai la verità? Non c'é niente da fare!
Niente di niente salvo mangiare, bere, dormire e respirare.
Quella è la vita e devi piantarla di cercare di darle un senso di cui non ha bisogno.
La vita è vita in quanto vita e quella già ce l'hai.
Non hai da fare scelte né da cambiare né da migliorare né ....
Non hai niente da fare.
Quindi non farlo.
mercoledì 2 marzo 2016
Siediti
Allievo: Maestro, a cosa serve meditare?
Maestro: Non serve a niente.
A: Eppure tu mediti...
M: Ogni giorno, ogni ora di ogni giorno.
A: Fai una cosa che non serve a niente?
M: Esattamente.
A: Perché lo fai?
M: Perché esiste l'universo delle milioni di cose?
A: Non credo che esista un uomo che lo sappia.
M: Pensi che io possa saperlo?
A: Lo sai?
M: Non lo so, però so che come esiste l'universo delle milioni di cose , allo stesso modo io medito.
A: Insegnami a meditare.
M: Non posso insegnarti.
A: Credi che non ne sia capace?
M: Tutt'altro.
A: Non sei capace di insegnarlo?
M: Non c'é niente da insegnare.
A: Mi basta che mi dici come fai tu.
M: Quello che faccio io non ti sarebbe utile.
A: Credi sia troppo difficile per me?
M: No. Quello che faccio io è per me. Tu devi fare quello che è per te.
A: Mi siederò qui davanti a te a guardarti e qualcosa imparerò anche qcontro la tua volontà.
M: Siediti pure qui davanti a me ma non imparare da me: cerca di osservarti e imparare da te stesso. Mi chiami Maestro ma questa è una lezione che devi drati da solo. Meditare è solo una parola evocativa di qualcosa di assai più semplice e modesto. Siediti e mettiti di fronte a te stesso, prostrati davanti alla tua stessa consapevolezza e sii quello. Impara da quello poiché tu sei quello.
martedì 1 marzo 2016
In the desert
La mia prima esperienza di meditazione risale a poco meno di 30 anni fa: non si trattò di un qualcosa di cercato, nessuno mi disse come fare e, credo, che non fosse esattamente quello lo scopo della situazione in cui mi trovai.
Stavo partecipando per la seconda volta nella mia vita ad un incontro organizzato dall'Ordine Agostiniano, in un bellissimo eremo nei pressi di Siena. Il piatto forte della seconda giornata, e dell'intero meeting a essere precisi, sarebbe stata una cosa chiamata il "Deserto". Al mattino, dopo colazione, ci riunimmo nel tendone delle conferenze, ci venne spiegato sommariamente cosa fare, ci venne data una, ancor più sommaria, cartina disegnata a mano della zona circostante, un bastone e un cestino per il pranzo e fummo invitati a lasciare l'eremo.
Scopo della giornata era fare, appunto, "deserto" prendendo spunto dagli anni passati dagli ebrei a vagare per il Sinai ma anche dai quaranta giorni in cui Gesù venne tentato come dai padri del deserto che si isolavano in luoghi impervi e isolati per ceracre dio. L'idea era proprio quella di fare deserto dentro di noi per permettere una comunicazione diretta con il divino: partire dal deserto fisico, privo di contatti, del bosco circostante per arrivare a quello interiore.
Per molti non fu facile e per questo vennero previsti luoghi di incontro per aiutare chi era spaventato da questa esperienza: perché, diciamocelo: quando sei solo non hai scelta, devi avere a che fare con te stesso. Cadono tutte le barriere e ti si presenti davanti per quello che sei e spesso questa visione non ci piace, o meglio: non piace a tutti. Così c'erano frati disponibili a confessare, un gruppo di preghiera in chiesa, lectio divine a ripetizione in un'altra chiesa poco distante e altri religiosi pronti ad ascoltarti o parlarti alla bisogna.
Io mi persi.
Si, mi persi.
Non nel senso fisico, perché conoscevo quei posti come casa mia.
No, mi persi nel deserto. Mi persi proprio.
E nel nulla che si creò dentro di me, io mi ritrovai.
Nessuna posizione particolare perché non le conoscevo e a causa di un difetto ad una gamba non le ho mai potute assumere. Mi misi semplicemente seduto in una piccola valle che sapevo aprirsi poco dietro l'eremo, vicino alle antiche grotte degli eremiti che avevano abitato quei luoghi mille anni prima. Mi sedetti a terra più conodo e dritto che potei e, senza nemmeno volerlo, mi lasciai andare.
Mi lasciai andare completamente, mollai gli ormeggi, allentai la presa.
Ero lì ma non c'ero.
Non ero lì ma ero ovunque.
Fu naturale e spontaneo almeno quanto difficile da riprodurre nei mesi successivi.
Fu uno scivolare.
Uno sprofondare, di più: un'espandermi in tutto.
Quando tornai all'eremo, poco prima di cena, qualcuno aveva già cominciato a preoccuparsi e fu con una certa delusione che, specialmente i capi dei vari gruppi di lavoro, si resero conto che non avevo approfondito nessuno dei punti accennati al mattino. Hai fatto una gitarella nel bosco, mi sorrise qualcuno di loro, con un malcelato sarcasmo misto a paterna disapprovazione. Io, in realtà, non sapevo cosa avessi fatto. Cosa avevo fatto? No, non avevo pensato ai punti sottolineati il giorno prima durante i lavori di gruppo, non avevo riletto i passi consigliati dei vangeli, non avevo riflettuto sulla parola di Dio. Probabilmente non avevo capito niente di cosa avrei dovuto fare e, in fin dei conti, mi sentivo un po' dispiaciuto della mia pochezza.
La sera dovevamo lasciare un biglietto con una frase che riassumesse la nostra riflessione.
Mi ricordo di aver scritto: Dio è Tutto.
Giovanni
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