giovedì 31 gennaio 2013

Meditazione Islamica


il Sufismo

         II Sufismo (forse dal termine arabo suf, che indica l'abito di lana grezza indossato dagli asceti musulmani) è un movimento religioso islamico diffusosi a partire dal IX secolo specialmente fra i sunniti.
I mistici sufi, attraverso la meditazione e l'ascesi, aspirano all'unione con Allah.     La componente panteistica insita nelle loro dottrine ha procurato loro l'accusa di eterodossia: nel 922, a Baghdad, fu giustiziato il sufi al-Hallaj, colpevole di avere proclamato la propria identità con Dio. Per merito di Al-Ghazali (1058-1111), filosofo e mistico persiano, il sufismo potè riconciliarsi con l'Isiam ortodosso.
    Le dottrine sufiche trovarono la loro espressione più significativa nelle opere dei poeti persiani Gialal al-Din Rumi (1207-1273) e Hafìz (1320-90 ca), oltre che negli scritti dello stesso Al-Ghazali. Il sufismo è senza dubbio la corrente più esoterica e mistica della religione islamica. Vivendo in una perfetta adesione all'istante presente e in un accettazione incondizionata della realtà intesa come manifestazione di Dio, i santi e i saggi sufi pervengono alla più alta realizzazione spirituale annullandosi nella divinità: il sufismo è la via che porta dall'individuale all'universale. Il sufi intrattiene una relazione di elezione {walayat) con la divinità: il sufi entra in comunione spirituale con essa attraverso un lungo cammino di ascesi spirituale {maqamat) da compiersi sotto la guida di un maestro in grado di trasmettere al discepolo uno stato di benedizione soprannaturale {baraka). Secondo il sufismo ogni epoca è illuminata dalla nascita di un Maestro dotato della natura di "uomo perfetto" (qutb), la cui identità può essere svelata solo a quanti abbiano raggiunto lo stato dell'annientamento in Dio (fana),dell'esistenza tramite Dio e della conoscienza. Il qubt del sufismo, a differenza dell imam degli sciiti, non dipende da una particolare linea di discendenza famigliare e non appare come figura isolata nel contesto della sua epoca: rappresenta, piuttosto, il vertice di tutta una gerarchla di maestri venerabili, dotati di facoltà e poteri analoghi ai suoi. I sufi, infatti, venerano come santi, non solo i qubt, ma anche numerosi maestri del passato, personaggi santi estranei alla loro dottrina e gli imam degli sciiti!
    Il sufismo è organizzato attorno a comunità monastiche che osservano il celibato e la regola della povertà, svolgono pratiche di umiliazione pubblica di sé e la ripetizione di formule di invocazione a Dio. Grande importanza è attribuita alla musica e alla poesia.
Fra le principali confraternite sufi attive dal XII secolo si annoverano quelle dei marabutti e dei senussi (Africa settentrionale) e quelle dei dervisci di cui parleremo diffusamente nel prossimo paragrafo.

Rumi e i dervisci ruotanti.

    I dervisci (dal persiano darwish, mendicante, povero) sono i membri di alcune confraternite sufìche, diffuse soprattutto in Turchia e in Iran che si propongono l'unione mistica con Dio mediante l'ascesi e la danza. Alcuni dervisci conducono un'esistenza nomade, mentre altri vivono in monasteri e sono dediti alla preghiera e all'ascesi; non mancano, infine, confraternite di dervisci laici, che celebrano i loro riti in pubblico con intento spettacolare: durante le cerimonie gli adepti raggiungono l'estasi mistica con tecniche suggestive e imnressionanti come, per esempio, infìlandosi aghi nel corpo o camminando sulle braci. Per quanto si richiamino direttamente a Maometto, le confraternite dei dervisci si svilupparono in epoche successive: al 1165 risale la fondazione della scuola dei "dervisci urlanti" così detta per le invocazioni rivolte a Dio in stato di esaltazione; al XIII secoloquello dei dervisci mevievi, famosi come "dervisci ruotanti", fondato dal già citato poeta mistico persiano Gialal al-Din Rumi, i cui membri cercano l'estasi mistica disponendosi in cerchio e ruotando freneticamente su se stessi. La città santa di Konya, in Turchia, è teatro del sama estatico dei dervisci rotanti: dal 1273, anno della morte del loro fondatore, ogni 17 dicembre festeggia la ricorrenza con musiche e balli. Nella loro vertiginosa danza, accompagnata dalsuono del flauto e dei tamburi, essi si tolgono il mantello nero, simbolo dell'oscuro mondo in cui l'anima è prigioniera e cominciano a ruotare senza posa facendo perno su un piede. La mano destra, spalancata verso il cielo, accoglie la grazia divina; la mano sinistra, rivolta verso terra, trasmette l'energia celeste al mondo mortale. Il cappello cilindrico simboleggia invece la pietra tombale che l'iniziato desidera deporre sulle passioni terrene. Lo scopo della danza {dhikr) è generare uno stato di estasi rituale e accelerare il contatto tra la mente del derviscio e la divinità di cui egli si considera parte.

da http://www.parousia.it/meditislam.asp

mercoledì 30 gennaio 2013

La meditazione ebraica

 
 
La meditazione è una componente comune a tutte le pratiche religiose, incluse quelle delle tre religioni monoteiste. In esse è strettamente connessa alla preghiera piuttosto che al controllo del sé, come avviene invece nelle discipline orientali. Essenzialmente la meditazione è rivolta a Dio e l’estasi religiosa è il risultato finale della totale immersione nell’essere divino.  
 
Ebraismo  
La seconda metà del XX secolo ha visto accrescersi e approfondirsi l’interesse per la mistica orientale. La corrente mistica dell’ebraismo, che fonde dottrine della cabala medievale e dello chassidismo del XVIII secolo, ha trovato nuovo vigore e sapiente espressione nell’opera del filosofo Martin Buber (1878-1965). Tra i mistici moderni, impegnati nell’ardua impresa di coniugare esperienza del divino e realtà storica, spiccano le figure di Pierre Teilhard de Chardin (1881- 1955) e di Simone Weil (1909-1943). La cabala è la sapienza mistica e spirituale contenuta nella Bibbia ebraica. In passato la cabala era nota solo a pochi iniziati meritevoli, adesso è accessibile a un numero sempre maggiore di persone. Una particolare importanza è attribuita alla meditazione e all’espressione artistica, soprattutto alla musica e al canto sacro. La cabala, per concludere, accoglie l’influsso della filosofia e dell’esoterismo cristiani in due concetti chiave, e cioè nella convinzione che il piano divino sotteso all’architettura dell’universo sia intelligibile all’uomo e che l’essere divino sia comprensibile, almeno in parte, attraverso la meditazione. 
 
La Cabala o Qabbalah 
In ebraico il termine qabbalah significa tradizione, ricezione Indica ‘insieme delle dottrine esoteriche e mistiche dell’ebraismo diffuse soprattutto dal X secolo in Spagna e Provenza e descritte nello Zohar, il “Libro dello Splendore”, redatto attorno al 1280-86. La cabala spagnola medievale è un sistema teosofico che si serve di un linguaggio fortemente simbolico per spiegare la natura di Dio e le sue occulte connessioni con il creato. Essa comprende due aspetti fondamentali: uno teorico-dottrinale, che prevede l’interpretazione allegorica delle Sacre Scritture, e uno pratico-magico, che consiste in una sorta di autoipnosi contemplativa fondata sul supposto potere sacro della lingua ebraica e su quello degli angeli, invocati insieme ai dieci nomi designanti i poteri di Dio, e sefirot. Una branca particolare della cabala spagnola del XI secolo era il cosiddetto “Sentiero dei nomi”: Abraham Abu’l’Afiya, il suo ideatore, elaborò una complicata tecnica di meditazione basata sulle infinite combinazioni delle lettere dell’alfabeto ebraico. Al di là di ogni  contemplazione umana esiste Dio quale e in se, l’immutabile En Sof (Infinito).  
 

martedì 29 gennaio 2013

"Meditazione Cristiana

Come meditare. Mettiti seduto. Immobile, la schiena dritta. Chiudi delicatamente le palpebre. Sii, rilassato ma vigile.

Inizia a ripetere silenziosamente un’unica parola: noi suggeriamo il mantra "maranàtha".

(Il mantra ‘maranatha’, che era la preghiera raccomandata da John Main alle persone che intraprendevano la meditazione, è la più antica preghiera cristiana (significa ‘Vieni Signore’) in aramaico, la lingua di Gesù, utilizzata da S.Paolo alla fine della prima Lettera ai Corinzi (16:22) e ritrovata nelle prime liturgie cristiane.)

Recitalo scandendo le quattro sillabe di pari lunghezza. Ascoltale mentre le pronunci, gentilmente ma continuamente. Non devi pensare o immaginare nulla di spirituale o altro. I pensieri e le immagini si proporranno ma tu limitati a lasciarli passare. Mantieni la tua attenzione al mantra con fedeltà, umiltà e semplicità, dall’inizio alla fine della tua meditazione.

Ascoltati mentre lo ripeti sommessamente, senza posa. Non pensare o immaginare alcunché di spirituale od altro: se si dovessero presentare alla mente pensieri o immagini, considerale distrazioni dalla meditazione. In tal caso, torna a ripetere semplicemente la parola prescelta. Medita ogni mattino ed ogni sera, per un tempo variabile dai venti ai trenta minuti.

La Meditazione profonda cristiana

La tradizione cristiana ha fatto nascere ed elaborare un tipo di meditazione che ancora oggi è praticata in alcune parti del mondo cristiano come in certi monasteri nel monte Athos o in Romania. Sono stati elaborati squisiti metodi di preghiera che non hanno nulla a cui invidiare ai metodi orientali. Gli scritti più preziosi sono stati raccolti nella famosa Filocalia (Amore della Bellezza), un'antologia, miniera preziosa per chi voglia approfondire il tema. Anche nella nostra civiltà occidentale vi è una buona scuola di mistica, ma purtroppo mancano i corsi elementari e ne possiamo comprendere il perché.

Tutti sentiamo quell'impulso, quel bisogno di innamorarci, che riempia il nostro cuore e la meditazione profonda occidentale può essere l'incontro con il grande oggetto d'Amore. Le forze superiori che spesso etichettiamo semplicemente con Dio e sulle quali proiettiamo le nostre fantasie infantili, per l'incapacità d'incontrare e rispettare il "mistero", sono appunto l'oggetto evocato nella meditazione. Dobbiamo raccoglierci e fare attenzione e silenzio e lasciar sviluppare le nostre potenzialità senza lasciarle atrofizzare. Ciò avviene nei mistici, dove, per esempio, un abitante della foresta può essere in grado di attivare questa sensibilità in modo maggiore di una qualsiasi persona colta. Ma c'è di più: per sviluppare la meditazione profonda e raggiungere i più alti gradi, bisogna imparare a sviluppare l'immaginazione, la memoria e l'intuizione ... quella formidabile forza che è la capacità di concentrazione che sta alla base dell'impresa.

La meditazione profonda s'incontra con l'Infinito, ed i benefici fisici e psichici dovrebbero venire in sovrappiù, o meglio non essere contemplati, ricercati, richiesti. La meditazione profonda cristiana è l'incontro con il Tutto ed è l'amore del tutto in Noi che si manifesta come stato di Grazia, capace di attivare in ognuno un percorso di crescita spirituale fino a farci arrivare alla perfezione che sarà il compimento della nostra vita di persona libera. Questa grazia si può anche toccare, la possiamo prendere per mano: la nostra anima.

La nostra tradizione occidentale non ha mai insistito sull'utilità delle tecniche necessarie al fine di attivare una buona "preghiera" ... o meditazione. La preghiera-meditazione per avere il giusto effetto, deve sorgere spontanea, naturale, quasi come sfogo del nostro Amore verso l'Infinito Mistero, senza tante regole e metodi. Facendo così, si domina la mente con i suoi interminabili flussi di ricordi, immagini e preoccupazioni. Invece, (secondo altre tradizioni) concentrandosi su Dio, ci si perde in un mare di distrazioni, mancando il punto di apertura del canale ricettivo.

Oltre la preghiera spontanea, i maestri di mistica occidentale (fra cui San Giovanni della croce) insistono sulla necessità che chi prega faccia vuoto dentro di se, portando la quiete dei sensi, l'immaginazione ed anche il particolare pensiero. Le particolari tecniche che servono a far silenzio e concentrarne l'attenzione e la devozione sono le premesse indispensabili per venire a contatto con la Grazia, che mai potrà abbandonarci quando noi cerchiamo effettivamente senza imbrogli il Signore Nostro all'interno della Preghiera.

Il nostro sincero sforzo è far nascere il vuoto ed il Silenzio interiore, dopo di che, con la libera preghiera, Dio farà sicuramente la sua comparsa, la sua parte. La meditazione profonda cristiana non accantona quindi nessuna pratica, in sostanza non butta via niente ... Il culmine della meditazione profonda è l'estasi, inaccessibile alla sola volontà, perché è dono di Grazia. Nessuna spiegazione può esprimere interamente questa condizione, neppure il termine Samadhi, perché trascende l'esperienza umana quotidiana. E' il vento e Fuoco dello Spirito trasformatore. "

cfr. http://www.meditare.it/forum/archivio/meditazione-cristiana.htm

lunedì 28 gennaio 2013

Il quantum E il loto
di Matthieu Ricard e Trinh Xuan Thuan
Estratto da "The Quantum and Lotus - a journey to the frontiers where science and Buddhism meet", di Matthieu Ricard e Trinh Xuan Thuan, Crown Publishers, New York, 2001.
Elenco degli articoli
Le conclusioni degli scienziati.

La religione del futuro sarà una religione cosmica. Dovrà trascendere un Dio personale ed evitare dogmi e teologie. Soffusa sia di natura che di spiritualità, dovrà essere basata su un senso religioso derivante dall’esperienza di tutte le cose, naturali e spirituali, considerate come un’unità piena di significato. Il Buddismo risponde a questa descrizione. Se ci fosse una qualsiasi religione in grado di rispondere ai bisogni della scienza moderna, questa potrebbe essere il Buddismo Albert Einstein Citazione
    Queste conversazioni sono parte di un dialogo in corso, avviato tra scienza e Buddhismo. La cosa più importante che mi hanno insegnato è la precisa convergenza e risonanza tra la visione Buddhista e quella scientifica della realtà.     Alcune visioni del Buddhismo sul mondo fenomenico sono sorprendentemente similari alle nozioni che sottendono quelle della fisica moderna - in particolar modo alle sue due principali e imponenti teorie: la meccanica quantistica, che è la fisica dell'infinitamente piccolo, e la relatività, la fisica dell'infinitamente grande. Sebbene il Buddhismo e la scienza abbiano metodi di investigazione sulla natura della realtà radicalmente diversi, ciò non porta ad una opposizione insuperabile, ma piuttosto ad una armoniosa complementarità. Questo perché sono entrambi alla ricerca della verità e perché entrambi usano criteri di autenticità, rigore e logica.     Prendete per esempio uno dei punti centrali del Buddhismo, l' Interdipendenza dei fenomeni. Nulla esiste inerentemente oppure per sua stessa causa. Un oggetto può essere definito solo in termini di un altro oggetto. L'interdipendenza è essenziale nel manifestarsi dei fenomeni. Senza, il mondo non sarebbe in grado di funzionare. Così un dato fenomeno può accadere solo se connesso ad altri. La realtà non può essere localizzata e suddivisa, bensì considerata come olistica e globale.     Attualmente numerosi esperimenti di fisica ci hanno autorevolmente imposto questa visione globale. Nel mondo atomico e subatomico, esperimenti quali l'EPR (N.d.R. Electron Paramagnetic Resonance) ci hanno dimostrato che la realtà è indivisibile. Due particelle di luce che hanno interagito continuano ad agire come parte di una singola realtà. Per quanto distanti siano, si comportano istantaneamente in un modo correlato, senza che occorra alcuno scambio di informazione. Per quanto concerne il mondo macroscopico, la sua natura globale è dimostrata dal pendolo di Focault, il cui comportamento non dipende dalla sua collocazione ambientale, ma dall'intero universo. Ciò che accade su un piccolo pianeta è determinato nella vasta immensità del cosmo.     Il concetto di interdipendenza stabilisce che le cose non possono essere definite in termini assoluti, ma solo in relazione ad altri. Questa è, sostanzialmente, la stessa idea del principio della relatività del moto nella fisica, che fu stabilito per la prima volta da Galileo e che poi venne perfezionato da Einstein. "Il moto è come il nulla", stabilì Galileo. Quello che intendeva dire era che, nella fisica, il movimento di un oggetto non può essere definito in termini assoluti, ma solo in relazione al movimento di un secondo oggetto. Non c'è modo per i passeggeri su un treno in movimento, con i finestrini chiusi, di scoprire con dati precisi ed esperimenti se il treno si stia muovendo o sia ancora fermo. E' solo aprendo i finestrini e guardando la campagna scorrere velocemente, che i passeggeri possono scoprirlo. Quindi, nella misura in cui non c'e' una struttura esterna di riferimento, il movimento è equivalente al non-movimento. Il Buddhismo dice che gli oggetti non esistono inerentemente, ma solo in relazione ad altri oggetti. Il principio della relatività dice che il movimento del treno esiste solo in relazione allo scorrere del paesaggio.     Tempo e spazio hanno perso le caratteristiche assolute che Newton diede loro. Einstein ci ha dimostrato che tempo e spazio possono essere definiti solo in termini relativi che dipendono dal movimento dell'osservatore e dall'intensità del campo di gravità che li circonda. In vicinanza di un buco nero, un secondo può distendersi fino all'eternità. Proprio come nel Buddhismo, la relatività ci insegna che l'idea di un passato già trascorso e di un futuro che deve ancora arrivare è una mera illusione, dato che il mio futuro può essere il passato di un altro e il presente quello di una terza persona - tutto dipende dai nostri relativi movimenti. Il tempo non passa, semplicemente è.     La nozione di interdipendenza ci porta direttamente all'idea di vacuità/spazio, che non significa il nulla, bensì assenza di esistenza inerente. Poiché ogni cosa è interdipendente, niente può autodefinirsi ed esistere inerentemente. L'idea di proprietà intrinseche che esistano di per sé stesse e da sé stesse deve quindi essere completamente scartata. Ancora una volta, la fisica quantistica ha qualcosa di straordinariamente similare da dire. Concordemente con Bohr e Heisenberg, non possiamo più parlare di atomi ed elettroni come di entità reali dalle proprietà nettamente definite, ad esempio la velocità o la posizione; adesso dobbiamo assolutamente considerarli come parte di un mondo composto di potenzialità e non di oggetti o accadimenti. La vera natura della materia e della luce diventa soggetta a relazioni di interdipendenza. Non è affatto intrinseca, bensì può mutare a causa dell'interazione tra l'osservatore e l'oggetto osservato. Una tale natura non è affatto unica, ma duale e complementare. Il fenomeno che chiamiamo particella diventa un'onda quando non la stiamo osservando. Ma non appena viene fatta una misurazione o una osservazione, inizia ad apparire di nuovo come una particella. Parlare di una realtà intrinseca di una particella, oppure della realtà che possiede quando non è osservata, sarebbe senza significato perché non potremmo mai coglierla. Così come nella nozione buddhista del samskara - o Evento -, la meccanica quantistica ha radicalmente relativizzato il nostro concetto di un oggetto, rendendolo subordinato alla misura o, in altre parole, ad un evento. C'è di più, il quantum classifica con incertezza un limite preciso su quanto accuratamente possiamo misurare la realtà. C'è sempre un grado di incertezza sia sulla posizione sia sulla velocità di una particella. La materia ha perduto sostanza.     La nozione Buddhista di interdipendenza è sinonimo di vacuità/spazio, che è a sua volta sinonimo di impermanenza. Il mondo è come un vasto flusso di eventi e di correnti dinamiche, tutte interconnesse e costantemente interagenti. Questo concetto di mutamento perpetuo, onnipresente, si accorda con la moderna cosmologia. Gli immutabili paradisi di Aristotele e lo statico universo di Newton non hanno più senso. Ogni cosa si muove, muta ed è impermanente, dal minuscolo atomo all'intero universo, galassie, stelle e genere umano inclusi.     L'universo si sta espandendo a causa dell'impulso ricevuto dalla sua esplosione primordiale. Questa natura dinamica è descritta dall'equazione della Teoria della relatività. Con la teoria del Big Bang, l'universo ha acquisito una storia. Ha un inizio, un passato, un presente e un futuro. Un giorno morirà in una deflagrazione infernale oppure in un gelido congelamento. Tutte le strutture planetarie dell'universo, stelle, galassie e ammassi di stelle sono in movimento perpetuo e sono parte di un immensa danza cosmica: ruotano sui propri assi, attorno alle proprie orbite, si avvicinano o si allontanano l’una dall’altra. Anch'esse hanno una storia. Sono nate, raggiungono la maturazione e poi muoiono. Le stelle hanno cicli di vita che abbracciano milioni e perfino miliardi di anni.     Lo stesso vale per il mondo atomico e subatomico. Anche qui ogni cosa è impermanente. Le particelle possono cambiare la propria natura: un quark può mutare la sua famiglia, o aroma, un protone può diventare un neutrone ed emettere un positrone e un neutrino. Materia ed antimateria si annullano l'un l'altra, diventando pura energia. L'energia del movimento di una particella può trasformarsi in un'altra particella o viceversa. In altre parole, la proprietà di un oggetto può diventare un oggetto. A causa dell'incertezza dell'energia del quantum, lo spazio intorno a noi è ricolmo di un inimmaginabile numero di particelle virtuali con fantasmatiche esistenze transitorie. Apparendo e scomparendo continuamente, sono la perfetta illustrazione dell'impermanenza, con i suoi cicli infiniti di brevi vite.     Quindi la realtà può essere percepita in vari modi - e differenti approcci, l’uno volto all’interno e l’altro all’esterno, portano alle stesse verità. Il Buddhismo non troverà di certo sorprendente una tale concordanza. Poiché il mondo fenomenico può essere osservato solo attraverso il filtro della consapevolezza, e dato che la consapevolezza stessa è interdipendente con il mondo esterno, la natura fondamentale dei fenomeni non può essere altro dalla mente buddhica illuminata. "
da http://www.buddhism.it/teaching/science/quantumAndLotus.htm

domenica 27 gennaio 2013

I GENOCIDI DEL XX SECOLO

1. GENOCIDIO DEL POPOLO ARMENO
I "Giovani Turchi" (ufficiali nazionalisti dell'Impero ottomano) ordinarono tra il 1915 e il 1923 vasti massacri contro la popolazione armena cristiana. Le successive deportazioni di massa porteranno il numero delle vittime a un milione e mezzo circa.
2. GENOCIDIO DEI POPOLI DELLA CINA
Nell'anno 1900, la rivolta dei "Boxer" causò oltre 30 mila morti, in gran parte cristiani. E sono almeno 48 milioni i cinesi caduti sotto il regime di Mao tra il "Grande salto in avanti", le purghe, la rivoluzione culturale e i campi di lavoro forzato, dal 1949 al 1975.
3. GENOCIDIO DEI POPOLI DELLA RUSSIA
Non meno di 20 milioni i russi eliminati durante gli anni del terrore comunista di Stalin (1924/1953). Esecuzioni di controrivoluzionari e di prigionieri, vittime del gulag o della fame.
4. GENOCIDIO DEL POPOLO EBRAICO
Con l'avvento del nazismo di Hitler in Germania (1933/1945) viene avviato lo sterminio del popolo ebraico in Europa; le vittime di questo immane olocausto sono calcolate in oltre 6 milioni di persone, la gran parte di loro morta nei campi di sterminio.
5. GENOCIDIO DEI POPOLI DELL'INDONESIA
Nel periodo 1965/67, quasi un milione di comunisti indonesiani sono stati deliberatamente eliminati dalle forze governative indonesiane, mentre tra il 1974 e il 1999 sono stati eliminate da gruppi paramilitari filo-indonesiani 250 mila persone della popolazione di Timor-Est.
6. GENOCIDIO DEL POPOLO CAMBOGIANO
Un milione di cambogiani sono morti in soli quattro anni, tra il 1975 e il 1979, sotto il regime di terrore instaurato dai Khmer rossi di Pol Pot.
7. GENOCIDIO DEL POPOLO SUDANESE
Si stima che un milione e novecentomila cristiani e animisti siano morti a causa del blocco imposto dal governo di Khartum all'arrivo degli aiuti umanitari destinati al Sudan meridionale.
8. GENOCIDIO DEI POPOLI DEL RWANDA E DEL BURUNDI
Dal 94 ad oggi, 800 mila civili ruandesi sono stati massacrati nel conflitto scoppiato tra hutu e tutsi; un'analoga cifra è stimata per le vittime del vicino Burundi.
9. GENOCIDIO DEI POPOLI DELL'AMERICA LATINA
Dalla Rivoluzione messicana, ai "desaparecidos" delle dittature militari degli ultimi decenni del XX secolo, sono oltre un milione le vittime innocenti della violenza di Stato dei regimi sudamericani.
Inoltre solo in Amazzonia si calcola che quasi 800 mila indios sono morti in un secolo, per le angherie e i soprusi subiti.
10. GENOCIDIO DEL POPOLO IRACHENO
Un organismo dell'ONU ha stimato nel 1998 in un milione di morti, tra cui 560 mila bambini, gli iracheni morti a causa dell'embargo internazionale e della politica di Saddam Hussein.

Non si hanno a tutt'oggi cifre sicure sulle vittime dei genocidi e delle "pulizie etniche" compiute nella ex-Yugoslavia, in Liberia, Sierra Leone, Angola, Congo, Libano, Corea del Nord, Sri Lanka, Haiti, Tibet ... e l'elenco purtroppo si allunga ogni anno di più! "
 da http://www.novaramissio.it/Pasqua00/Martiri/Genocidi.html

Aggiungo che a tutt'oggi non esiste nessun atto ufficiale internazionale che incoraggi e promuova il ricordo di quasi tutte queste shoah.
Tutto tace anche sul fronte del ricordo dello sterminio dei nativi nordamericani, delle vittime delle Inquisizioni Romana e Spagnola, di quelle delle crociate e dello sterminio delle popolazioni Catare della Provenza.
Giovanni

sabato 26 gennaio 2013

"Effetto farfalla è una locuzione che racchiude in sé la nozione maggiormente tecnica di dipendenza sensibile alle condizioni iniziali, presente nella teoria del caos. L'idea è che piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema.
L'espressione "Effetto farfalla" si ritiene in genere sia stata ispirata da uno dei più celebri racconti fantascientifici di Ray Bradbury: Rumore di tuono (A Sound of Thunder, in R is for Rocket) del 1952, in cui si immagina che nel futuro, grazie ad una macchina del tempo, vengano organizzati dei safari temporali per turisti. In una remota epoca preistorica un escursionista del futuro calpesta una farfalla e questo fatto provoca una catena di allucinanti conseguenze per la storia umana.
Alan Turing in un saggio del 1950, Macchine calcolatrici ed intelligenza, anticipava questo concetto: "Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l'uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza".
A conti fatti perciò una singola azione può determinare imprevedibilmente il futuro: nella metafora della farfalla si immagina che un semplice movimento di molecole d'aria generato dal battito d'ali dell'insetto possa causare una catena di movimenti di altre molecole fino a scatenare un uragano.
Edward Lorenz fu il primo ad analizzare l'effetto farfalla in uno scritto del 1963 preparato per la New York Academy of Sciences. Secondo tale documento, "Un meteorologo fece notare che se le teorie erano corrette, un battito delle ali di un gabbiano sarebbe stato sufficiente ad alterare il corso del clima per sempre." In discorsi e scritti successivi, Lorenz usò la più poetica farfalla, forse ispirato dal diagramma generato dagli attrattori di Lorenz, che somigliano proprio a tale insetto, o forse influenzato dai precedenti letterari (anche se mancano prove a supporto)."Può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?" fu il titolo di una conferenza tenuta da Lorenz nel 1972.
Dal punto di vista matematico molti sistemi possono essere modellizzati con equazioni differenziali alle derivate parziali. Le soluzioni di queste equazioni spesso utilizzano funzioni esponenziali e quindi anche una modesta variazione dei dati in ingresso si ripercuote sulla soluzione con un andamento esponenziale potendo quindi alterare in modo determinante l'andamento del modello in funzione del tempo.
La conseguenza pratica dell'effetto farfalla è che i sistemi complessi, come il clima o il mercato azionario, sono difficili da prevedere su una scala di tempo utile. Questo perché ogni modello finito che tenti di simulare un sistema, deve necessariamente eliminare alcune informazioni sulle condizioni iniziali — ad esempio, quando si simula il tempo atmosferico, non è possibile includere anche lo spostamento d'aria causato da ogni singola farfalla. In un sistema caotico, questi errori di approssimazione tendono ad aumentare via via che la simulazione procede nel tempo e, al limite, l'errore residuo nella simulazione supera il risultato stesso. In questi casi, in sostanza, le previsioni di una simulazione non sono più attendibili se spinte oltre una certa soglia di tempo."

Cfr. Wikipedia, Effetto Farfalla.

venerdì 25 gennaio 2013

"Tutto è uno è un saggio scritto da Michael Talbot, pubblicato nel 1991 negli U.S.A. e nel 1997 in Italia, che descrive con grande ricchezza di fonti scientifiche sperimentali la possibilità di una visione olografica della realtà.
Nella parte iniziale ci viene descritto cosa sia un ologramma, di cui è dato anche un grafico dettagliato. In seguito, spaziando dalla fisica alla psicologia, gli studi che l'autore porta alla nostra attenzione sono quelli di nomi famosi quali Karl Pribram, Einstein, Bohr, Bohm, il famoso psichiatra Stanislav Grof. Una vasta costellazione di studi distinti, condotti in campi diversi, che concorrono a disegnare la trama di una ipotesi: l'ipotesi della scienza olografica. La presentazione di questi studi distinti è intervallata da suggestive citazioni letterarie di poesie di William Blake e scritti di Sant'Agostino e Proust, disegnando la prospettiva filosofica di un universo in cui in ogni singolo elemento, ad es. l'uomo stesso, è possibile rinvenire la struttura completa del Tutto.
Viene data la descrizione verbale e grafica di un ologramma. Viene poi discussa la possibilità di un modello olografico per tutto l'universo, suggerendo che tale modello possa spiegare ad es. le sincronicità, cioè le cosiddette coincidenze. Vengono citati gli studi condotti nel 1987 da Robert G. Jahn, fisico, e Brenda J. Dunne, psicologa, riguardanti l'interazione psichica della mente con la realtà materiale. A seguire, l'autore propone di approcciarsi anche a campi della conoscenza come la fisica quantistica senza il timore reverenziale che già la denominazione suscita, penetrando quell'alone di paura che ci blocca, ovviamente senza arroganza, senza andare superficialmente ad intuito, dilettantisticamente, bensì seguendo il rispetto sempre per la competenza, per le persone che comunque hanno studiato e indagato e ci presentano dati scientifici; senza bloccarci nel timore, nel timore di comprendere, andando dunque davvero in fondo alle problematiche con curiosità e gioia, volendo davvero chiederci, con onestà, se tale conoscenza ci arricchisce, se dice anche qualcosa per noi, se può esserci comunicata in maniera chiara, questa conoscenza, non volutamente resa oscura per la persona comune; vedere se noi, noi stessi come persone siamo parte di questa conoscenza, o se invece noi siamo una cosa e la conoscenza sia una realtà distante e misteriosa diversa da noi come persone; osservare e valutare da noi stessi se con onestà ci si aprono nuovi spiragli in una realtà altrimenti ben triste, dove il miglioramento personale ci è precluso o è congelato in rigidi dogmi che non comunicano più energia vitale, passione di fare, entusiasmo per la vita, passione di realizzare qualcosa in condivisione con gli altri; una realtà forse in cui la conoscenza è asettica, priva di vita, frammentata in settori non comunicanti tra loro e relegata solo agli addetti ai lavori; una realtà priva della possibilità che una persona possa trarre dai più vari studi una visione d'insieme per arricchirsi e elevare il proprio livello di consapevolezza. La stessa espressione livello di consapevolezza - che è la cosa più semplice preziosa e vitale - viene spesso resa volutamente così contorta e complessa da scoraggiare il lettore che, onestamente, vorrebbe arricchirsi e migliorarsi soprattutto come persona, e non solo come serbatoio di nozioni mentali combattenti le une contro le altre. Infine Talbot espone gli studi mirabili dello psichiatra Stanislav Grof, che davvero ci fanno entusiasmare, aprendo la nostra visuale, il modo in cui vediamo la realtà. Sperando sempre che non vi sia eccesso di antagonismo e soppressione, però, cercando di spegnere davvero il fuoco della rabbia in noi, contemplando, semplicemente contemplando, con calma, nuove possibilità proposte anche da antichi studi come quello citato di Grof, moderando il nostro antagonismo, davvero cercando di valutare in modo ecologico l'effetto di nostre critiche, rabbie, avversioni, ecologico nel senso di cercare onestamente di prevedere a lungo termine che effetto avranno sugli altri esseri, a lungo termine, le nostre parole di rabbia, perché non è nella conoscenza asettica, nella polemica sterile, ma in un silenzioso e contemplativo arricchimento interiore la possibilità di crescita che abbiamo come esseri, crescita nostra personale, crescita nel miglioramento nel rapporto che abbiamo verso gli altri, essendo davvero persone migliori verso gli altri, migliori spiritualmente."
cfr. Wikipedia, Tutto é Uno.

mercoledì 23 gennaio 2013

Spesso mi chiedono come si fa a meditare. Non è difficile se sai come fare, rispondo io.
Pubblico questo perché secondo me la meditazione è alla base di ogni ricerca.

Sedere con la consapevolezza del 'qui ed ora'

Trattato redatto nel 1090 circa dal Maestro Chan Zongze Cijiao


Se aspirate ad apprendere la saggezza attraverso la via del bodhisattva, dovete prima far sorgere la
mente di grande compassione, generare grandi voti e coltivare il samadhi, impegnandovi a guidare
al risveglio gli esseri senzienti senza cercare la liberazione solo per voi stessi. Con tale disposizione
mentale lasciate andare qualsiasi idea e abbandonate le miriadi di preoccupazioni, così che il corpo
e la mente siano unificati, continuamente sia nel movimento che nella quiete.
Moderatevi nel mangiare e nel bere, senza prendere troppo né troppo poco. Regolate il sonno, senza
privarvene e senza concedervene in eccesso.
Quando vi sedete in meditazione sistemate un cuscino su una stuoia in un luogo tranquillo e
ordinato. Indossate abiti comodi, non troppo stretti. Assumete una posizione corretta e un
portamento sereno.
Sedete nella posizione del loto, ponendo prima il piede destro sulla coscia sinistra e poi il piede
sinistro sulla coscia destra. Va bene anche la posizione del mezzo loto, in cui basta porre il piede
sinistro sulla coscia destra.
Ponete la mano destra sulla caviglia sinistra e la mano sinistra sul palmo della mano destra. I pollici
delle mani si sfiorano.
All’inizio inclinate lentamente il corpo in avanti, oscillate verso destra e verso sinistra, e quindi
sedete eretti. Una volta assestata la postura non inclinatevi più né a destra né a sinistra, né avanti né
all’indietro. Allineate le anche, la spina dorsale e la base del cranio, in modo che si sostengano a
vicenda. La vostra forma è quella di uno stupa. Il corpo non deve però essere rigido, perché ciò
disturba la corretta respirazione, ostacolando la pace mentale. Le orecchie devono essere in linea
con le spalle e il naso con l’ombelico. Tenete la bocca chiusa, la lingua posata sul palato superiore.
Tenete gli occhi leggermente aperti per evitare l’insorgere del torpore. Ad occhi aperti il potere
della concentrazione meditativa è forte. Nei tempi antichi molti monaci eminenti praticavano ad
occhi aperti. Il maestro chan Fayun Yuantong disapprovava la meditazione seduta con gli occhi
chiusi, paragonandola al praticare dentro una caverna di fantasmi in una montagna tenebrosa. Il
significato di questo monito è profondo e solo i praticanti avanzati lo realizzano.
Una volta resa stabile la postura e armonizzato il respiro, rilassate il basso addome. Non trattenete
alcun pensiero, né positivo né negativo. Quando un pensiero sorge, notatelo immediatamente.
Diventandone consapevoli esso scompare. Alla fine non sarete più coinvolti dai fenomeni e la
vostra pratica fluirà ininterrotta. Questa è l’arte essenziale della meditazione seduta.
La meditazione seduta è una via autentica alla pace e alla felicità. Tuttavia molti la praticano in
modo errato e ciò può perfino causare malattie. Questo perché essi non conoscono come applicare
la mente correttamente. Se meditate nel modo giusto, il corpo si sentirà naturalmente leggero e
comodo, e la vostra mente sarà chiara e acuta. La consapevolezza rifulgente. Il gusto del Dharma
arricchisce lo spirito, conducendo alla gioia pura della serenità.
Per coloro che sono già risvegliati, tale pratica potrebbe paragonarsi a un drago che trova l’acqua, a
una tigre che ruggisce tra i monti. Per coloro che non sono ancora risvegliati, questa pratica
equivale a soffiare sul fuoco: non è più necessario un grande sforzo. Se comprenderanno in modo
chiaro e corretto, il successo sarà certo.
Ciò nonostante, col progredire della pratica possono manifestarsi fenomeni demoniaci, poiché sulla
via si incontrano numerose condizioni favorevoli e sfavorevoli. Ma, finché mantenete la chiara
consapevolezza nel momento presente, nulla sarà per voi un ostacolo.
Questi stati confusionali sono chiaramente delineati in vari testi, tra cui Il Surangama-sutra, “Il
grande manuale sul calmare e osservare” (della scuola tiantai) e “Le indicazioni per la coltivazione
e la realizzazione” del maestro Guifeng. Nessuno perciò, al fine di prendere le appropriate
precauzioni, dovrebbe ignorare questi testi.
Quando desiderate emergere dalla meditazione, fate oscillare lentamente il corpo e alzatevi con
calma e attenzione, senza affrettarvi. Non fate movimenti bruschi.
In seguito, per mantenere continuamente il potere del samadhi, praticate in modo adeguato a ogni
situazione: è come se vi prendeste cura di un neonato. In tal modo sarà facile accrescerlo.
Coltivare la concentrazione meditativa (chan samadhi) è un compito urgentissimo. Se la mente non
si pacifica nella concentrazione meditativa, sebbene progrediate nella contemplazione, vi sentirete
ancora persi. Se volete trarre una perla dal profondo dell’oceano, è meglio calmare le acque; se le
agitate, vi sarà più difficile. Allo stesso modo, quando l’acqua del samadhi è calma e chiara, la perla
della mente si rivela da sé.
Perciò il Sutra del perfetto risveglio dice: “La pura saggezza non ostacolata sorge dal samadhi
profondo.” Il Sutra del Loto dice: “Praticate in un luogo tranquillo il raccoglimento della mente,
stabilizzandola e rendendola immobile come la Montagna Polare.” Quindi, per trascendere
l’ordinario e entrare nel sacro, si deve praticare in una condizione di tranquillità, senza disturbi.
Affidandovi all’energia del samadhi, quando siete in fin di vita, sarete in grado di spirare nella
posizione di meditazione seduta o in piedi.
Persino se volete fermamente ottenere la liberazione in questa vita, potrebbe essere tempo sprecato.
Se poi continuate a rimandare, privi di una forte determinazione, sarete preda della forza del karma.
Perciò i maestri antichi dicevano che senza il potere del samadhi ci si arrende di fronte alla morte; è
come se si chiudessero gli occhi e si tornasse a mani vuote, dopo aver vagabondato invano.
Mi auguro che i compagni di meditazione rileggano frequentemente questo breve trattato, per
aiutare se stessi e gli altri a realizzare insieme il completo risveglio.


Tatto da: “A Guide to Sitting Chan”, tradotto dal cinese in inglese dal Ven. Guo Jue, pubblicato in Chan Magazine nel
2002. (Traduzione italiana a cura della Comunità Bodhidharma

giovedì 17 gennaio 2013

"6.


la morte non esiste


è semplice eppure non lo sembra.
La parola morte indica la cessazione della vita.
La parola vita indica lo spazio di tempo tra la nascita e la morte.
Quindi la morte è il punto terminale della vita come la nascita è quello iniziale.
La vita ha quindi una connotazione essenzialmente cronologica e abbastanza arbitraria, se vista così.
Se guardiamo nella direzione opposta alla morte, forse è ancora più evidente questa arbitrarietà: la nascita è l'inizio della vita, anche se questa in realtà è gia avvenuta da nove mesi al momento in cui avviene il parto.
Magari è il principio di una vita umana?
Neppure, il feto è già umano almeno dal terzo mese. Ma anche lì non si può dire che il feto sia nato allora, solo che da quel momento si può chiamarlo umano. Cioé, non si può dire che qualcosa di non vivo sia divenuto improvvisamente vivo, il cuore per esempio batteva già da un po', pur facendolo all'interno di un organismo non esattamente umano quanto piuttosto anfibio o rettile o quello che era; anzi quello cardiaco è stato uno dei primissimi tessuti a formarsi.
Ma anche prima, siamo sicuri che l'embrione non è vivo? Biologicamente qualcosa che tende a riprodursi è vivo e le cellule dell'embrione si riproducono e moltiplicano incessantemente fin dalle prime settimane.
E anche prima, per lo stesso principio, abbiamo già la vita.
E dopo? Dopo la morte intendo?
Ora, una delle poche certezze che abbiamo sull'universo in cui viviamo è che dal punto di vista della materia e dell'energia si tratta di un sistema chiuso. Per dirlo in parole povere, in natura nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma.
E' quel tutto che ci frega.
Fino al 1905 si poteva immaginare che in certi casi la materia potesse andare effettivamente distrutta ma è stato dimostrato che si trasforma in energia e quest'ultima stessa può divenire di nuovo materia, cosicché il saldo rimane sempre e comunque pari.
Veniamo a noi. A noi esseri viventi intendo.
Siamo fatti di materia: un po' di elementi chimici combinati a formare tessuti, organi, sistemi e così via, specializzati nel produrre e utilizzare energia a partire da altri tessuti che introduciamo nel nostro corpo.
Ma siamo solo questo?
Credo che la bioingegneria non è più molto lontana dall'essere in grado di creare qualcosa del genere a partire da elementi chimici di base, capace di vivere e riprodursi. Magari non sarà subito qualcosa di molto gradevole alla vista o all'olfatto ma sicuramente funzionerà. Si tratta semplicemente di creare una macchina a base carbonio invece che a base silicio o ferro.
Quando questa struttura smette di funzionare si decompone perché le sue esigenze energetiche non sono più soddisfatte e, essenzialmente, perché è a base carbonio, cioé è organica. La materia organica si decompone, quella metallica arrugginisce. C'é comunque ossidazione e quindi trasformazione.
Non credo che siamo solo questo.
Torniamo alla macchina organica di prima: tra i vari tessuti, organi e sistemi di cui l'abbiamo dotata ce ne è uno che le permette di interagire con l'ambiente e con gli altri esseri, che coincidono inoltre con il cibo. Ecco così che questo organismo vede, ode, odora, sente e gusta in quanto deve vedere dove è il cibo e dove sono i pericoli, se gli stessi si stanno avvicinando alle sue spalle, se il loro odore tradisce il loro passaggio, se certi oggetti o altri organismi possono essere un pericolo qualora toccati e, infine, se il sapore di ciò che ha messo in bocca è cattivo e, quindi, può nascondere un potenziale pericolo per la sua vita.
L'analisi e l'elaborazione delle informazioni trasmesse dai sensi è alla base di quello che chiamiamo pensiero e, in gradazioni diverse di raffinatezza e profondità, appartiene in realtà a tutto il regno animale e, forse, anche a quello vegetale.
Il pensiero è frutto dell'attività del cervello, come una perla è il frutto dell'attività secretoria dell'ostrica: sulla base di un elemento esterno si crea un prodotto in apparenza autonomo e originale.
E' tutto qui?
Quando il nostro organismo, il nostro robot carbonico, smette di funzionare, quell'organo segue lo stesso destino e il pensiero non si produce più. Di conseguenza diciamo che è morto.
Sei sicuro che quello che sei, tutto quello che stai pensando in questo momento sia solo un'analisi meccanica, anzi elettrochimica, di dati trasmessi dai tuoi sensori?
Un attimo.
Ho detto che stai pensando, allora la faccenda potrebbe essere diversa.
L'essere di base, potrebbe essere il cervello, cervelletto, midollo allungato, midollo spinale, sinapsi, dendriti, assoni e nervi tutti compresi. Una specie di primitivo mollusco che si è creato una serie di sistemi e apparati per potersi nutrire, muovere, riprodurre e così via. Come l'ostrica di prima ha prodotto il suo guscio.
In questo modo si crea una gerarchia: tutto è funzione del cervello. Non siamo esseri umani, bensì cerebri che si sono creati un robot semovente in cui vivere.
Cervelli quindi. E l'attività principale del cervello è il pensiero. E il pensiero è essenzialmente la messa in relazione di stimoli esterni percepiti tramite i sensi.
E il carattere, la personalità, i gusti diversi in individui simili viventi negli stessi luoghi e tempi? E certi gesti caratteristici che compaiono nei neonati e che non possono essere stati causati da nessun stimolo esterno?
Come chiamare tutto questo? Non credi che sia proprio quella cosa che ci definisce come esseri umani.
E questa cosa da dove viene?
C'é un Koan bellissimo che racconta di un allievo che chiede al maestro cosa possa fare per raggiungere l'illuminazione e questi gli risponde: “Hai mangiato il tuo riso? Bene, allora lava la tazza!”. E un'altro Koan dove il maestro risponde: “Quando hai fame mangia, quando sei stanco dormi.”
Lascio stare per il momento i Koan dello zen ma ci tornerò; li ho citati per riflettere su questo: a quel tipo di comportamento ci può arrivare anche l'organismo robotico a base carbonio di cui parlavo prima.
Uno stimolo –  una risposta.
Pace, serenità e totale mancanza di nevrosi.
E' quella nevrosi che ci suggerisce l'esistenza di qualcos'altro.
E' il fatto che la tazza non venga lavata, o che nonostante la nostra stanchezza continuiamo a girarci per ore nel nostro futon o che nonostante la nostra gran fame non possiamo buttare giù neppure un bicchier d'acqua; tutto questo può essere la prova che il cervello è solo un organo del nostro corpo al pari di tutti gli altri e che la sua attività non ha in realtà pregio superiore rispetto a quella del nostro sfintere anale o dei nostri polmoni o del nostro cuore.
Ecco qua la rivelazione.
Siamo nevrotici perché non siamo meccanici.
La nevrosi è la prova della nostra trascendenza rispetto alla semplice materia.
Ciò non significa che nevrotico è bello, tutt'altro ma sicuramente è un punto di partenza per capire che quando gli organi e i tessuti e le cellule si risemplificheranno in sostanze via via più elementari, e quindi il pensiero non sarà più prodotto in quanto il cervello sarà stato tra i primi a decomporsi, ci sarà comunque qualcos'altro che attenderà il suo turno per trasformarsi in qualcos'altro. O magari solo spostarsi.
Ti faccio due esempi.
Uno:
quando morì mio padre tutto avvenne in pochissimi secondi.
Prima stavamo parlando di non so quale cosa, dopo era per terra già morto.
Dopo essere stato lavato e rivestito, venne composto nella camera da letto dei miei, dove fu allestita la camera ardente. Io passai quasi tutto il giorno e la notte, di fianco al letto a guardarlo, a sfiorargli la mano ad accarezzargli il viso.
Poi pensai una cosa.
Quello non era mio padre.
Quello era il corpo di mio padre ma non era lui, come se avessi vegliato tutta la notte accanto ad un suo ciuffo di capelli o ad un suo dito amputato. Era appartenuto a lui ma non era lui.
Ciò che faceva di quell'essere mio padre, non era più lì, si era trasformato, si era spostato da qualche altra parte, ma in qualche modo esisteva ancora.
Quando si rompe un televisore, il televisore è tutto lì, è semplicemente spento senza possibilità di riaccendersi, lui invece...

Due:
quando è nato mio figlio, dopo i primi istanti, è stato messo in un'incubatrice per farlo respirare meglio. Non stava molto bene. Le infermiere mi suggerirono di toccarlo in qualche modo. Mi lavai le mani, indossai un guanto sterile e misi una mano dentro. Gli sfiorai il palmo destro con un dito e lui lo strinse, girò la testa, aprì gli occhi e mi sorrise. Dritto in faccia. Per guardami bene negli occhi.
Stringere un mano viene dal cervello.
Stimolo – Risposta
Girarsi verso uno stimolo sensoriale é sempre attività del cervello.
Analisi – Reazione
Da dove veniva quel sorriso?
Come se qualcosa avesse fatto capolino da dietro le limitate capacità di un cervello formatosi pochi mesi prima e che riceveva stimoli sensoriali da meno di un'ora e avesse tentato di esprimersi in qualche modo.
Gli antichi la chiamavano anima.
Prova ad immaginare una cosa.
Prova ad immaginare che un giorno verrà identificato un organo, qualcosa di piccolo e apparentemente insignificante, qualcosa come il talamo o l'ipofisi. Un minuscolo pezzetto di carne nella profondità del tuo corpo. Alla base del tuo cranio o magari vicino al cuore.
Immagina che, come è stata scoperta la prostrata femminile, venga un giorno scoperto un organo, per ora sconosciuto, capace di entrare in contatto con un tipo particolare di energia, come fa l'intestino con il cibo o lo stesso cervello con l’elettricità, e che quest'energia, come tutte le altre, si  sposti nella materia e nel vuoto.
Per il momento prova solo, più avanti ne parleremo ancora."
Buone Notizie, pp. 21 - 32.

mercoledì 16 gennaio 2013

"
La maestra di Gilberto era una di quelle persone che organizzano, se non le proprie amicizie, almeno il rispetto da dare al loro prossimo in base alla posizione che questi o le loro famiglie occupano nell’umano consorzio. Non dovete pensare che la muovesse un sentimento di vile convenienza, non avendo mai materialmente ricevuto vantaggi da questo suo atteggiamento, si trattava piuttosto di semplice (cattiva) educazione e senso di subordinazione allo stato puro, un sentimento per cui il figlio dell’avvocato era sempre e comunque più bravo e meritevole del figlio del contadino anche quando impugnava la penna al contrario o imparava a leggere senza sillabare solo dopo la licenza media. Allo stesso modo l’alcolismo del medico del paese era una semplice debolezza di cui solo a volte si sussurrava e i continui nuovi lividi che comparivano sulle gambe dei figli del professore erano tanto trasparenti ai suoi occhi quanto la curiosa somiglianza che i tre eredi del farmacista avevano con il parroco o quanto il via vai di gentiluomini che c’era per le scale della casa dove abitava il capitano, mentre questi era per mare.  Se nella sua personale classifica di importanza i vari figli di imbianchini, operai, braccianti e contadini venivano dopo i rampolli dei ricchi e dei benestanti del paese, sarà facile capire come per Gilberto fosse necessario trovare una nuova categoria, qualcosa che fosse addirittura oltre l’intoccabilità. Difatti per lei divenne addirittura invisibile, o meglio inguardabile e quindi del tutto inguardato. Questa sua originale posizione oltre a metterlo in ulteriore difficoltà con i compagni più quotati ne compromise anche i rapporti con i compagni di più modesta collocazione sociale perché comunque loro una posizione l’avevano mentre lui, lui cosa diamine era? Si sentiva un po’ come quel negro che, scappato dalla piantagione, viene scacciato perfino dalla riserva apache.
Non gli restava nient’altro che lasciar correre, cosa che può risultare facile da farsi prima dei tredici e dopo i sessanta anni ma sicuramente non nel me"
Inedito, pp. 14 - 15.

martedì 15 gennaio 2013

"10.


Era la tarda mattinata di un giorno qualsiasi della settimana. Fra poche settimane sarebbe stata Pasqua e quel maestro, come tutti, era tornato a Gerusalemme  per prepararsi alle feste, insieme ai suoi discepoli. Per pranzo avrebbe mangiato delle focacce e delle verdure sotto qualche ulivo ma ora aveva voglia di starsene lì seduto nel portico esterno del Tempio a guardare la gente passare e ad ascoltare distrattamente i giovani intorno a lui: Giovanni non la smetteva di parlare, Filippo si intestardiva di rispondere in greco e Pietro sottolineava alcune frasi con secchi grugniti.
Quando nessuno lo osservava, e succedeva più spesso di quanto tu possa immaginare, il Maestro scarabocchiava. Se li aveva, usava inchiostro e papiro, oppure pergamena o una delle tavolette cerate che si usavano a scuola oppure, molto semplicemente, un dito e la polvere della strada.
Non erano sempre vere frasi. A volte erano singole parole. O figure di un qualche tipo, come uno studente svogliato che lasci correre la penna sul foglio durante la spiegazione del professore.
Aveva preso un pezzetto di legno e aveva iniziato a tracciare linee e cerchi, poi qualche parola, poi una serie di punti, poi aveva immaginato di fare una caricatura a Pietro, con quel suo ghigno perennemente accigliato che gli solcava due profonde rughe sopra il naso monumentale e quella barba ispida che circondava la mascella squadrata. Un sorriso gli aveva mosso la barba.
Poi, sentì un ruggito crescere da lontano. Prima una voce indistinta, che si divise a diventare due, poi tre, poi dieci poi una moltitudine. Un crescendo di parole che correva verso di lui.
Non alzò la testa ma per un istante ebbe paura. Beh forse non proprio paura: una specie di apprensione o magari era solo sorpresa. Pensava di avere ancora un po' di tempo. Magari si era sbagliato.
Ma quella gente non ce l'aveva con lui, almeno non direttamente, non ancora.
Non erano soldati. Si vedeva bene che venivano dal Tempio. Suoi compatrioti, in tutto e per tutto.
E davanti c'era una figura curva che veniva fatta avanzare a forza di calci e spintoni da tre o quattro energumeni dalla testa scoperta  e dalla barba corta. Quelli che seguivano erano sicuramente sacerdoti, quegli impiastri che non facevano altro che seguirlo giorno e notte per pesare ogni sua azione e ogni sua parola. La figura scura che procedeva incespicando si teneva stretta nella veste come se si fosse gettata addosso la prima cosa che aveva trovato appena alzata dal letto. Era sicuramente una donna.
Dietro al gruppo principale veniva una folla abbastanza nutrita di uomini urlanti e dietro ancora c'erano delle donne che gridavano se possibile ancora più forte e per ultimi dei bambini che giocavano e correvano e strillavano e sembravano divertirsi un mondo.
Per qualche motivo che non era ancora chiaro, aveva subito capito di essere lui la meta di quella processione ma non aveva voluto alzare la testa. Non si mosse neppure quando si accorse che i suoi avevano smesso di battibeccare, persino Giovanni aveva chiuso bocca e si era quasi nascosto dietro le sue spalle.
Pietro invece si era piazzato quasi di fronte a lui, a gambe divaricate, con i pugni stretti. Il maestro sorrise di nuovo e scosse la testa.
Il corteo era quasi arrivato di fronte a lui, la folla era cresciuta includendo anche chi prima si trovava nei portici o fermo ai banchi di cianfrusaglie. Il clamore era cresciuto ancora fino a dargli fastidio alle orecchie tanto che fu costretto ad alzare la testa e strizzare gli occhi per difendersi dal sole del mezzogiorno.
Con uno strattone la donna venne sbattuta a terra davanti ai suoi occhi. Era giovane, non più di vent'anni, e continuava a sostenersi le vesti perché non le cadessero di dosso e cercava di rimettersi in piedi ma gli sgherri intorno a lei la spingevano a terra con i piedi nudi. Quelli erano i servi dei sacerdoti del tempio, forse gli stallieri o i guardiani dei porci: erano lucidi di sudore, spettinati e con le barbe umide di vino.
La donna piangeva e cercava di coprirsi la faccia con le mani che si erano coperte di terra. Le sue lacrime scavavano delle righe sulle guance anche se i suoi singhiozzi si sentivano appena.
La folla si zittì.
Nell'aria calda si sentivano solo i lamenti della donna a terra e l'ansimare degli spettatori più vicini.
Lui adesso era in piedi davanti al portico: era alto, persino più alto di Pietro, che era arretrato nell'ombra senza smettere di digrignare i denti.
Il sole gli batteva sulla testa e aveva la fronte fradicia di sudore, gocce calde gli scorrevano sul petto e lungo la schiena. Aveva voglia di andarsene da lì, voleva mandare a quel paese tutta quella gente che gli si faceva incontro e che continuava a chiedergli qualcosa, qualsiasi cosa.
Uno di quelli con la testa coperta venne avanti e gli si rivolse alzando la voce per farsi sentire bene.
Maestro, noi abbiamo una legge e la nostra legge ci dice che questa donna deve morire. E' stata trovata in flagrante adulterio e quindi sarà lapidata.
La donna, a terra, non smetteva di piangere sottovoce ma non alzava la testa, non lo guardava; non guardava neppure il suo accusatore. Sembrava rassegnata al suo destino, quell'uomo alto con la barba lunga non lo avrebbe cambiato. Sembrava quasi seccato di essere disturbato da quell'intrusione. Non l'aveva ancora neppure guardata negli occhi. E poi, era un altro di quei predicatori del deserto, quei conservatori, quei bacchettoni che tuonavano fulmini contro i tutti i peccatori: c'era poco da sperare, magari sarebbe stato il primo a colpirla.
Lui guardò bene chi aveva parlato. Doveva essere uno di quei nuovi sacerdoti messi nel Tempio dai romani. Non doveva avere neppure quarant'anni e nella barba impomatata non aveva un solo pelucco bianco. Se ne stava ritto sui sandali, come su un podio.
Si rimise a sedere. Si sentiva stanco. Era un lavoro difficile, a volte aveva voglia di lasciare perdere. Capiva che quella donna era solo un pretesto, in un altro momento non sarebbe stata neppure considerata. Il vero obiettivo era lui. Era lui che volevano, quella disgraziata era solo un mezzo, solo un espediente per arrivare a lui.
Stolti.
Ormai era una guerra di strategia.
Si rimise a scrivere con il dito nella polvere.
- Bene. Voi, che siete senza peccato, scagliate la prima pietra.
Il silenzio divenne totale. Poteva sentire il respiro della folla che aveva davanti. Anche i bambini avevano smesso di giocare. Non voleva guardarli ma sapeva cosa stava succedendo. Sentì le pietre cadere dalle mani e molti sandali pestare e scuotere la polvere.
Quando alzò di nuovo gli occhi vide che erano rimasti soli.
D'improvviso la piazzetta davanti al portico era deserta. Dietro le sue spalle i suoi apprendisti borbottavano tra loro.
La donna era sempre lì, stesa nella polvere. Non aveva mai smesso di piangere. Nessuno gli aveva ben spiegato la sua storia e la sua colpa ma in realtà non aveva nessun desiderio di conoscerla. Era un'altra povera creatura contestata per le sue scelte. Chissà? Magari aveva già un paio di figli. E poi in quei tempi adulterio poteva voler dire qualsiasi cosa. Sinceramente non gli importava nulla.
Lei alzò la testa e lo guardò.
Aveva gli occhi nocciola e qualche traccia di trucco sulle palpebre.
- Nessuno ti condanna?
La donna tirò su col naso e scosse la testa.
- Nemmeno io ti condanno.
Si alzò e si avvicinò a lei.
La veste che si teneva stretta era solo un drappo scuro, magari una coperta, forse era stata davvero scoperta dal marito nel letto di un altro, chissà cosa facevano a quei tempi agli amanti delle adultere? Probabilmente gli offrivano da bere.
Lei prese la mano che le veniva offerta e si alzò da terra.
- Vai e non peccare più.
Negli anni a venire si pentì ogni giorno di non essersi fermata ma in quel momento non poté fare a meno di fuggire via di corsa.
Lui, il Maestro, sorrise.
Guardò i suoi amici: non riuscivano a dire niente. Giovanni provò a formulare “m..s..ro...” ma lui si voltò di nuovo e s'incamminò verso quell'ulivo per il pranzo."

Buone Notizie, pp. 39 - 48