martedì 25 febbraio 2014

Piccoli passi.



Venerdì mattina, uscendo da scuola, ho notato che il corridoio di fronte alla sala insegnanti era stato svuotato di tutti i suoi mobili e che qualcuno aveva preparato come per iniziare a dipingere.
Solo che non si trattava di dare il bianco.
Sulle pareti erano state disegnate stelle storte e irregolari con un giallo pazzescamente giallo, avvolte nel blu notte più notturno che avevo mai visto.
Su di una parete qualcuno aveva tracciatp linee a scacchiera come per copiare qualcosa con precisione.
- Hai visto che lavorone? - mi ha chiesto la collega di arte e immagine.
- Ma sei stata tu? - Ho chiesto io di rimando.
- Non io, i ragazzi. E' un omaggio a Matisse e là ricopiamo la danza della felicità.
- Che meraviglia, Matisse! E' bello Matisse, - dissi ancora io, - Wilde diceva che dovremmo rendere belle le nostre scuole, in modo che la punizione peggiore per i ragazzi non farceli venire.
La mia collega non era d'accordo, - Secondo me è impossibile che vengano volentieri a scuola.
Ecco.
Io non la penso così.
E dipende tutto da noi, come tutto.
Ci credo che non vengono volentieri a scuola se noi per primi non ci crediamo, se noi per primi non siamo contenti.
- Invece no, - le ho risposto - ogni viaggio inizia con un passo piccolissimo e tu l'hai fatto quel passo. Non ti sminuire che invece hai regalato un sorriso in più ai colleghi ed ai ragazzi.

Questo non è l'unico mondo possibile.
Questo non è l'unico modo possibile per viverci.

Se non è stato ancora fatto non vuol dire che non si possa fare.
Si può fare.
Si deve fare.
E qualcuno lo sta già facendo.
Nella propria esistenza privata qualcuno è già al lavoro per creare un mondo diverso.

Io immagino milioni, MILIONI, di piccoli primi passi che ogni giorno vengono fatti da milioni di persone sconosciute in giro per il mondo.
Stanno costruendo un mondo nuovo e migliore.
Stanno avviando l'unica rivoluzione possibile, quella del cuore.

Una foresta che cresce fa molto meno rumore di una frana che cade ma costruisce la vita ed ha lo stesso potere, la stessa forza.

Non rimaniamo a lamentarci della nostra poca forza o della nostra incapacità.

Siamo qui, siamo vivi, tocca a noi.
Ovunque.
Ovunque sei.
Ovunque siete.
Ovunque siamo.

lunedì 24 febbraio 2014

La pace






Io non sono cattolico.
Non sono nemmeno protestante o ortodosso.
Non sono testimone di Geova.
Proprio non sono Cristiano.

Non sono neppure Ebreo.
E nemmeno Musulmano.

Non mi conseidero neppure Indù, Parsi, Zoroastriano, Jaina piuttosto che Buddhista, o giù di lì.

Non appartengo a nessuna tradizione religiosa ufficiale.
Nessuna chiesa organizzata mi può contare tra i suoi fedeli.

Eppure sono convinto, so', che tra di noi, alcune persone sono chiamate ad occupare un posto speciale.
Si tratta  delle guide, dei maestri,dei padri spirituali dell’umanità: santi, capi religiosi, guru, swami e così via.
Sono persone che tracciano la strada.
Ce ne sono ancora molti, che vivono tra di noi e ci offrono l'esempio delle loro vite illuminate.
Però, secondo me, tali persone servono principalmente nel momento del bisogno, proprio quando il gregge brancola nel buio e cerca risposte, risposte che si traducano più in fatti che in parole.
Per questo motivo chi guida, o dovrebbe guidare, il cammino dell’umanità,ha a disposizione mezzi che non sono concessi a tutti:  il carisma,  la posizione e l’autorità riconosciuta da tutti. 
Sono su di un podio ed il mondo intero vi ascolt e vi guarda, può ignorarvi o contestarvi, ma non può negare di sentirvi o vedervi.

Ecco, io penso che queste persone hanno il dovere di intervenire con la loro opera.
ORA.
Proprio ora e proprio lì, dove ancora i fratelli uccidono i fratelli. 

Devono andare e FERMARE la violenza.

Basterebbe aver successo una volta.
Può essere un punto di svolta epocale.

Fermare un conflitto con la forza della  sola parola può dimostrare al mondo che si può fare.
Che un altro modo è possibile.

Potrebbe divenire un precedente.
Potrebbe portare davvero la pace su questa terra.




mercoledì 19 febbraio 2014

La Verità.





Mi piace molto questa immagine.

Mi piace perché mostra tutte le grandi religioni.
Tutti gli sforzi compiuti per arrivare alla verità.
Le mostra in senso storico, a far vedere l'evoluzione della nostra spiritualità.
Ne mostra tante, se non tutte, sullo stesso piano, perché si tratta di sentieri parali per arrivarci.
O per portare Lei da noi.

Mi piace anche perché mostra il mondo che viene raggiunto dalla verità.
E il mondo, l'universo, sta tutto dentro la testa dell'uomo.
Solo la verità non l'avrei messa esterna, ma credo fosse difficile da disegnare.

E poi mi piace anche per un altro motivo.
La luce della verità arriva all'uomo tramite le religioni.
Lei però se ne sta prima di queste.
Le religioni sono strade e, a volte, si vede, fanno compiere alla luce una bella deviazione rispetto a quella che sarebbe la strada più veloce e naturale.
In effetti difraggono la luce bianca della verità.
La portano pur sempre all'uomo, però.

Ecco, dopo quello che ho scritto ieri, ho pensato che la mia religione è ben rappresentata in questa immagine.
E' la luce che sta prima delle religioni.
Che da ragione di vita a tutte loro.
Io mi rifaccio direttamente alla fonte.

Prima di ogni dogma.
Prima di ogni culto.
Prima di ogni rito.
Prima di ogni fede.

Non ho bisogno di credere in niente perché la verità è lì di fronte a me.

martedì 18 febbraio 2014



Dalle nostre parti se dici di essere cattolico, va tutto bene.
O quasi.

Non importa che tu lo dimostri effettivamente: nessuno verrà a controllare.
Basta che tu semplicemente non tocchi il tasto e dimostri di darlo per scontato.
Andare a messa la domenica, tutte le domeniche, non è essenziale.
Certo che se lo fai, molti diranno che sei molto religioso.
Essenziale è renderlo implicito, festeggiare con ampi Cenoni le feste comandate, fare il presepe, battezzarsi, ricevere la prima comunione e la cresima, sposarsi in chiesa, far fare la stessa cosa ai propri figli.
Attenzione: se anche divorzi e ti risposi in comune ma continui a fare le stesse cose, tutti ti continueranno a considerare cattolico.
Perché si può sbagliare, certo.
Ovviamente non puoi fare la comunione, il prete che ti conosce  potrebbe negartela: basta che tu vada in un'altra chiesa, magari in Cattedrale, nessuno ti chiederà nulla.
Però non devi esagerare.
Si perché un conto è fare tutto questo, un altro conto è voler insegnare catechismo, animare gruppi, dire le preghiere mattino, sera e ai pasti e, soprattutto, parlare in pubblico di religione.
No, così diventi un fissato, un esaltato e via dicendo

Un'altra cosa più o meno normale è essere ebreo.
Anzi il pubblico ti considererà, almeno una volta all'anno, una specie protetta.
Ti vorranno tutti bene.
Anche qui però non esagerare.
Perché sennò non piacerai più a nessuno.
Criticheranno queste tue fissazioni alimenatri e così via.
Il segreto è sempre quello, dallo per scontato non parlarne troppo.

Se poi sei protestante o ortodosso, stai tranquillo molti non sanno la differenza.
 Anche qui, sempre che tu non lo dica troppo spesso.

Se sei musulmano, sappi che gli sguardi di tolleranza sono appunto quello, tolleranza, sopportazione, che nasconde la paura.
Comunque, dimostrare di non sopportarti vorrebbe voler dire dimostrare di essere razzista e questo non si può dire in società.
E poi fai pur sempre parte di una grande religione. 

Ah, dimenticavo: se sei ateo, ormai sei ormai sdoganato, ma anche qui se esageri diranno che sei un polemico, che non rispetti la tradizione e sicuramente sei politicamente orientato.

Il problema sorge se dici di non essere cattolico, no.
E neppure protestante o ortodosso.
No, nemmeno ebreo o musulmano.
Allora devi essere ateo ma, sorpresa: non lo sei.
Anzi senti di avere una grande spiritualità
La senti forte dentro di te e la vivi.
Meglio che puoi.

A questo punto, il meglio che possa capitare è che ti guardino con un sorrisetto di sufficienza etichettandoti come un fricchettone o peggio come un esaltato di qualche setta, inserendo tra di loro cose diverse come lo Zen, la New Age, i Vegani, gli Hare Krishna e così via.
Il fatto è questo: come ti permetti di non appartenere ad un gruppo preciso?
Come ti permetti di dirti religioso (e chi lo fa?) se non segui una chiesa di qualche tipo?
Come ti permetti di parlare di spiritualità?
Come ti permetti?

Sapete che non lo so.
Però mi permetto.



lunedì 10 febbraio 2014



"Una volta, nella congregazione di Fayan il maestro Zen, c'era un monaco chiamato il priore Xuan-ze. Il maestro gli domandò:
- Priore Xuanze, da quanto tempo sei nella mia congregazione?
Xuanze rispose:
- Da tre anni.
Il maestro disse:
- Così, vi sei entrato di recente; perché non mi hai mai interpellato sul Dharma del Buddha?
Xuanze replicò:
- Non vorrei deludervi, reverendo. Un tempo quando mi trovavo nella congregazione del Maestro Zen Qingfeng, ho attinto la condizione di tranquillità e letizia nel Dharma del Buddha.
Il Maestro disse:
- Grazie a quali parole sei riuscito a entrare in questa condizione?
Xuanze replicò:
- Una volta ho domandato a Quingfeng  cosa fossw il mio io. Replicò: << Il giovane addetto alle lanterne viene in cerca del fuoco>>
Fayan disse:
- Proprio belle parole. Tuttavia temo che tu non le abbia comprese.
Xuanze disse:
- La lanterna pertiene al fuoco. Così pur avendo già il fuoco, il ragazzo continua a cercarlo. Capisco che è una metafora: pur avendo già il Sé, si va in cerca del Sé.
Il maestro disse:
- In verità, ne ero certo: non hai capito. Se il Dharma del Buddha fosse come tu dici, non sarebbe stato trasmesso sino a oggi.
Xuanze si sentì a disagio, e preoccupato, se ne andò. Strada facendo pensò:
- Questo Maestro Zen è rispettato dai fratelli di tutto l'Impero, ed è considerato un grande, un maestro e una guida da cinquecentopersone. Di certo, c'é qualcosa di valido nella sua critica alla mia concezione.
Così tornò dal maestro Zen e gli chiese scusa, mostrrandosi pentito e recandogli omaggio. Poi gli chiese cosa fosse il suo io.
Il maestro disse:
- Il giovane addetto alle lanterne viene in cerca del fuoco.
Udendo queste parole, Xuanze sperimentò un grande risveglio nel Dharma del Buddha."

Dogen, Shobogenzo, Bendòwa.

venerdì 7 febbraio 2014

La Felicità.




X: Cos'é la felicità?
Y: La felicità è un'attitudine.

X: Che vuoi dire?
Y: Un'attitudine: un modo di fare, un atteggiamento, una predisposizione.

X: Non trovi che sia più esatto dire che è un sentimento, un'emozione?
Y: Assolutamente no: un'emozione è qualcosa di esterno, che viene dall'esterno ed è provocata da qualcosa di esterno. La felicità è un modo di percepire l'esterno, un modo di porsi verso l'esterno, un'attitudine, come dicevo, tramite la quale ci si approccia al mondo esterno.

X: Non sono d'accordo. Sei felice per qualcosa che ti capita e ti rende, appunto, felice.
Y: Quella non è felicità. Quella sì è un'emozione, una reazione, e dura il tempo di un pensiero. Non puoi trattenerla perché dipende dall'esterno, o comunque da quello che identifichi con l'esterno, e quindi non ti appartiene propriamente. La felicità non può dipendere da ciò che avviene da quello che percepisci come l'esterno. La felicità deve provenire da te, dev'essere un atteggiamento un modo di percepire, un modo di vivere. Devi essere felice a prescindere.

X: Beh, questa è solo teoria.
Y: Questa è una strada, già percorsa, se è questo il tuo dubbio: qualcuno ci si è già incamminato. I tuoi maestri l'hanno fatto e ora ti spettano al di là di quelle difficoltà che ti pare di vedere.

X: Forse è possibile per qualcuno di noi, ma per la maggior parte di noi...
Y: Vuoi dire che la maggior parte di noi è destinata all'infelicità.

X: Voglio dire che sarebbe bello essere felici tutti, sempre, ma non è possibile.
Y: E' un mondo triste quello che presenti. Un mondo di persone destinate all'infelicità, alla tristezza, al dolore. Questo mondo non mi piace. Io preferisco essere felice. Io preferisco sorridere, sempre e comunque.

X: ...
Y: Una volta un uomo santo mi chiese se ero felice, avevo diciotto anni, ed io gli risposi che stavo imparando ad esserlo. La felicità è una via, non è un risultato, un percorso, non un punto d'arrivo. La felicità è il mezzo, non il fine. Uno dei miei maestri mi disse che la nostra volontà di essere felici è ciò che più ci ostacola nel raggiungimento della felicità. Oggi ne sono sempre più convinto. Vogliamo la realizzazione, la felicità, la vita e l'amore e spendiamo tutta la vita a cercarle ovunque, come anime in pena, come il pesciolino che cercava il Grande Oceano, e non ci rendiamo conto di averle già intorno a noi. Ci lamentiamo di non essere capiti e non perdiamo tempo a capire gli altri, ci lamentiamo per la salute e facciamo di tutto per comprometterla, ci lamentiamo della mancanza di amore e fratellanza e non guardiamo mai negli occhi chi ci è vicino. Cerchiamo la nostra via e passiamo di continuo di fronte al casello senza imboccarlo mai. Dipendiamo da ciò che ci arriva dall'esterno, senza renderci conto che l'esterno non esiste e che ogni cosa proviene proprio da noi.


 Conversazione 7 febbraio 2014

mercoledì 5 febbraio 2014

Domande e Risposte






Domanda: Quindi credi in Dio?
Risposta: In un certo senso.

D: Cosa vuol dire in un certo senso? O ci credi o non ci credi.
R: Vuol dire che dipende. Dipende dal significato che dai a quella parola.

D: Va bene, forse non credi in Dio, ma crederai pure sempre in un qualche tipo di Dio.
R: Dipende sempre da cosa intendi. Io non credo nell'esistenza di un Dio persona, fatto a immagine e somiglianza dell'uomo, che viva in un modo più o meno simile al nostro e che ugualmente si possa dire che occupi in qualche modo un posto oppure un tempo. Rifuggo del tutto l'idea che possa provare sentimenti ed emozioni nel senso in cui lo facciamo noi e soprattutto che il suo agire possa avere un segno, positivo o negativo che sia.

D: E allora in cosa credi?
R: Lo sai. Io non credo in nulla, se credere significa sperare, aver fiducia o fare un patto con qualcuno. Io sono convinto, almeno fino a questo momento, che le parole Dio, Divinità, Creatore, Padre Celeste, Dea Madre, realtà ultima, infinito e persino supercoscienza, individuo, anima del mondo, siano nient'altro che etichette, per lo più sinonimi. L'uomo deve far rientrare nel proprio sistema di riferimento tutto ciò con cui entra in contatto, per questo inventa nomi e definizioni che in qualche modo lo possano aiutare a definire ciò che vede, conosce, percepisce o concepisce. Io preferisco chiamarlo Tutto e al tempo stesso Uno, gli antichi maestri cinesi usavano la parola Tao che ha un significato più o meno simile e di sicuro un suono più affascinante. Dico che è Tutto, perché tutto ciò che esiste ne è compreso e dico che è Uno perché tutto ciò che esiste si identifica in sé stesso, perdendo ogni distinzione. Potrei dirti che è Vuoto, che è Wu, oppure Nulla. Ma preferisco dire Tutto.

D: Quindi sei un panteista.
R: Non credo. Io non vedo Tutto in Dio o Dio in Tutto. Io penso che lo stesso concetto di Dio sia da rivedere. Proprio non esiste un Dio persona: nell'antichità abbiamo isolato degli aspetti del Tutto di cui facciamo parte e li abbiamo etichettati come Dio. Operando distinzioni nel Tutto, senza contare appunto che ne facciamo parte. Ma cosa volevano dire i grandi ,maestri del passato quando usavano termini come 'figli di Dio' e 'unirsi a Dio' e 'dissolversi nel vuoto' e così via? Nella molteplicità delle parole c'é un'unicità di visione. Non esiste un uomo separato da Dio né un Dio separato dalla sua creazione e neppure una creazione separata dall'uomo. Tutto è unito, di più tutto è la stessa cosa. Tutto è semplicemente Uno.

D: Allora chi preghi quando preghi?
R: L'unico tipo di preghiera che pratico è il Ringraziamento. Le mie parole non sono rivolte a nessuno: è un ringraziamento a prescindere. E' contemplazione di tutto ciò che ho. E' apprezzamento. E' riconoscimento. E' dare valore a ciò che mi circonda, alla mia vita, al Tutto stesso. In qualche modo è più simile alla meditazione perché assomiglia in fin dei conti ad una presa di coscienza. Se nella meditazione prendo coscienza dell'essenza tramite la contemplazione, ringraziando cerco di osservarla. Ringraziare è riconoscere.

D: Quindi non ringrazi qualcuno che ti ha fatto il dono della vita.
R: No. Nessuno, in senso di individuo mi ha donato nulla. Il Tutto stesso è un dono. E, guarda, nel tutto c'é proprio di tutto. Non serve a nulla ringraziare solo perché sei sano, hai un lavoro o ti amano tutti. Ringraziamo anche per la malattia, la miseria e la malevolenza delle persone, perché anche la miseria e la malattia e la malevolenza e la disperazione sono Tutto e sono un dono.



Conversazione

martedì 4 febbraio 2014

Grazie.







Tra tutte le pratiche spirituali, quella che pare più diffusa è la preghiera.

Tutte le religioni e tutte le chiese invitano a pregare.
C'é la preghiera privata e quella colletiva.
Quella formale e quella personale.
Quella recitata, quella cantata e quella appena sussurrata sulla punta delle labbra.

Ci sono tre tipi principali di preghiera: quella di lode, quella di richiesta e quella di ringraziamento.

Solitamente chi prega nel primo modo  lo fa per rendere lode al destinatario delle sue parole, per contemplare così la sua grandezza, la sua misericordia, la sua bontà o anche solo per ripetere i mille nomi ed i mille attributi che gli riconosce.
E' una preghiera contemplativa.
Ci si pone davanti a ciò o a colui che è l'oggetto della nostra contemplazione e si gode, semplicemente della sua presenza e della sua essenza.
Non è molto diversa dalla meditazione classica, solo che si fa uso di parole, anche solo pensate ma pur sempre di parole.

La preghiera di richiesta è forse quella più antica.
Ci si rivolge a un dio per ottenere qualcosa.
Che si tratti di un figlio, di giustizia, di salute, di guarigione, di un'aiuto generico, della forza o anche del perdono per i propri peccati, si tratta di una richiesta.
E' la preghiera più diffusa universalmente.
In ogni religione, in ogni paese, in ogni cultura e in ogni tempo si è sempre alzato le mani al cielo per chiedere qualcosa.

L'ultima è quella forse più difficile.
Per ringraziare bisogna rendersi conto di aver ricevuto un dono.
Chiedere è facile, perché è facile sentire il bisogno di qualcosa.
Ringraziare non lo è perché prima bisogna diventare consapevoli di ciò che si ha.
E spesso quello che abbia mo lo diamo per scontato.
Per noi è normale svegliarci al mattino.
Per noi è normale non avere malattie.
Per noi è normale il nostro lavoro, la nostra famiglia, l'acqua con cui ci sciacquiamo il viso, il caffé caldo, il cibo e tutto il resto.
Lo strano sarebbe il contrario.
E invece no.
Chi ti ha detto che tutto ti è dovuto?
Guarda onestamente intorno a te: ti pare che sia davvero così normale avere tutto ciò che hai.
Ma il difficile viene adesso.
La vera preghiera di ringraziamento nascerebbe proprio allora: se perdessi tutto, ti ammalassi, tua moglie ti abbandonasse, i tuoi figli si rivoltassero contro di te e tu riuscissi ancora a ringraziare per tutto ciò che hai, solo allora dimostreresti di conoscere l'importanza e la grandezza del dono che hai ricevuto.

Grazie.

lunedì 3 febbraio 2014

La pratica spirituale.




Tutti i maestri concordano su questo: la spiritualità non è semplice teoria. Non si tratta di parole vuote.
Non è masturbazione mentale.La spiritualità è strettamente connessa con la prassi.Si può trattare di fare oppure della sua negazione, a seconda delle tendenze e delle sfumature culturali.Possono essere precetti oppure consigli.
A volte soltanto indicazioni
Tutti, comunque, tutte le grandi anime dell'umanità, le più grandi espressioni della coscienza totale, della realtà ultima o, se preferite, di Dio, tutte queste voci hanno parlato di fare.
Fare.
Non parlare.
FARE.

Che si trattasse di condotta di vita, di preghiere precise, di meditazione, di esercizi fisici, di riflessioni, di digiuno o qualsiasi altre cose sono venute loro in mente, di quello si trattava.
Di solito erano tutte adattate a chi li ascoltava.
Ai loro vicini.
Al loro popolo.
Alla loro tradizione.

Alcune pratiche sono più universali, altre meno.
Alcune non si potevano adattare ad altri luoghi e tempi.
Altre poco.
Alcune ancora del tutto.

Ecco.
La pratica viene dopo il cercatore.
Diventa tradizione ed è difficile, a quel punto cambiarla.
Ma, pensaci, prima della pratica c'era un uomo come te che cercava una strada. Che ha provato e riprovato. Che spesso ha sbagliato e sbagliato ancora. Che si è persino considerato incapace e che alla fine, con tutte le limitazioni del suo tempo e della sua cultura, ha tracciato una strada.

Ora sta a te decidere se può essere la tua strada.
Non aver paura di dire di no.
Non è detto sia la tua.
Non aver paura di dover guardare altrove: tutti lo hanno fatto.
Ogni maestro spirituale ha rotto con qualche tradizione.
Tutti hanno detto e fatto cose nuove, saresti in buona compagnia.
Non aver paura di dover cambiare tutto.
cambia tutto quello che ritieni debba essere cambiato.
Cerca la tua strada e proponila a tutti.
Qualcuno la seguirà ma altri decideranno che non fa per loro.Qualcuno infine, se sarai fortunato, partirà da dove sei arrivato tu e percorrerà qualche passo in avanti e tu sarai con lui quando succederà.

E non aver paura di cambiare tutto, se anche dopo cinquant'anni di cammino capissi che devi cambiare.

La vera pratica è la  vita.
La tua vita sia la tua pratica.